N. 00581/2015REG.PROV.COLL.
N. 00379/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 379 del 2015, proposto da:
Ministero della difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Palermo, via De Gasperi, n. 81;
contro
Presidenza della Regione Siciliana, Giunta Regionale Siciliana, Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, Azienda Regionale Protezione Ambiente – Arpa Sicilia, Assessorato Regionale Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, Dipartimento Regionale Sviluppo Rurale e Territoriale presso l’Assessorato (già Azienda Foreste Demaniali), Assessorato Regionale Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, Concetta Gualato, in proprio e nella qualità di Presidente del Comitato “Mamme No Muos”, Gioele Cannore, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della “Associazione Movimento No Muos Sicilia”, Ottaviano Evola, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della “Associazione Movimento No Muos Sicilia”, Sabrina D’Amanti, Comune di Acate, Comune di Mirabella Imbaccari, Comune di Ragusa, Associazione Consumatori Cittadini Europei; Comune di Niscemi, rappresentato e difeso dall’avv. Edoardo Nigra, con domicilio eletto presso Daniela Macaluso in Palermo, via G. Ventura, n. 1; Associazione Legambiente Comitato Regionale Siciliano, rappresentata e difesa dagli avv.ti V.Corrado Giuliano, Daniela Ciancimino, Antonella Bonanno, Marilena Del Vecchio, Nicola Giudice, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Giudice in Palermo, V. M. D’Azeglio, n. 27/C; Associazione Movimento No Muos Sicilia, Gugliemo Panebianco, Giuseppe Maida, Rosario Buccheri, rappresentati e difesi dall’avv. Rossella Zizza, con domicilio eletto presso Roberto De Petro in Palermo, via Villa Sperlinga, n. 13; Filippo Arena, Muscia Fida Santa, Elvira Cusa, Sandro Rinnone, Antonio Rinnone, Livio Cannizzo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Nicola Giudice, Sebastiano Papandrea, Paola Ottaviano, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Giudice in Palermo, V. M. D’Azeglio, n. 27/C; Salvatore Terranova, Francesco Di Dio Cafiso, Giuliana Reale, Giandomenico Militello, Desireè Ristagno, Alessandro Vacirca, rappresentati e difesi dagli avv.ti Nicola Giudice, Paola Ottaviano, Sebastiano Papandrea, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Giudice in Palermo, V. M. D’Azeglio, n. 27/C; Comune di Vittoria, rappresentato e difeso dall’avv. Angela Bruno, con domicilio eletto presso Michele Costa in Palermo, via Dante, n. 166; Comune di Modica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sebastiano Papandrea, Nicola Giudice, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Giudice in Palermo, V. M. D’Azeglio, n. 27/C; Comune di Gela, rappresentato e difeso dall’avv. Dionisio Nastasi, con domicilio eletto presso questo Consiglio in Palermo, via F. Cordova, n. 76; Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature-Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicola Giudice, Corrado V. Giuliano, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Giudice in Palermo, V. M. D’Azeglio, n. 27/C;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – PALERMO: SEZIONE I n. 00461/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Niscemi, dell’Associazione Legambiente Comitato Regionale Siciliano, dell’Associazione Movimento No Muos Sicilia, di Filippo Arena, di Salvatore Terranova, di Muscia Fida Santa, di Francesco Di Dio Cafiso, di Elvira Cusa, di Giuliana Reale, di Sandro Rinnone, di Giandomenico Militello, di Antonio Rinnone, di Desireè Ristagno, di Livio Cannizzo, di Alessandro Vacirca, di Gugliemo Panebianco, del Comune di Vittoria, del Comune di Modica, del Comune di Gela, dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature-Onlus, di Giuseppe Maida e di Rosario Buccheri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2015 il Cons. Gabriele Carlotti e uditi per le parti l’avv.St. Pollara e gli avv.ti R. Zizza, E. Nigra, V. C. Giuliano, D. Ciancimino, N. Giudice per sé e su delega di A. Bruno, P. Ottaviano e D. Nastasi;
Visto l’art. 36, comma 2, c.p.a.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il Ministero della difesa ha impugnato la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, dopo averli riuniti, ha, tra l’altro:
– accolto i ricorsi n. 1825/13 R.G. e n. 2397/13 R.G., rispettivamente proposti dalla Associazione Legambiente – Comitato regionale siciliano Onlus (d’ora in poi: Legambiente) e dall’Associazione Movimento No Muos (e pure da tre cittadini; nel prosieguo: No Muos) e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento del Dirigente Generale del Dipartimento dell’Ambiente dell’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente della Regione Siciliana (poi: Arta) del 24 luglio 2013, prot. n. 32513; – rigettato i ricorsi n. 808/13 R.G. e n. 950/13 R.G. proposti dal Ministero della difesa;
– dichiarato improcedibile il ricorso n. 1864/11 R.G., proposto dal comune di Niscemi.
2. – Si sono costituiti, per resistere all’impugnazione, i signori Filippo Arena, Sandro Rinnone, Giandomenico Militello, Antonio Rinnone, Desireè Ristagno, Livio Cannizzo, Alessandro Vacirca, Salvatore Terranova, Fida Santa Muscia, Giuliana Reale, Francesco Di Dio Cafiso ed Elvira Cusa, il No Muos, insieme ai signori Guglielmo Panebianco, Giuseppe Maida e Rosario Buccheri, l’Associazione italiana per il World Wild Fund for Nature – W.W.F. Italia Onlus, la Legambiente, il Comune di Gela, il Comune di Modica e il Comune di Vittoria.
3. – All’udienza pubblica dell’8 luglio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. – La sentenza impugnata contiene una approfondita narrativa dei fatti della causa e un’analitica descrizione del materiale cognitorio e decisorio cristallizzatosi in primo grado. Per intuibili esigenze di sinteticità, dunque, il Collegio ritiene di poter rinviare a detta pronuncia per la ricostruzione della vicenda dedotta in contenzioso e per l’individuazione delle questioni controverse. Tanto precisato, ai fini della presente decisione, è sufficiente ripercorrere a grandi linee i principali fatti del complesso procedimento sul quale si è innestata la lite e riferire succintamente del ragionamento giuridico che sorregge la sentenza gravata.
5. – In sintesi, il giudizio ha ad oggetto una lunga vicenda procedimentale, riguardante l’autorizzazione all’installazione del sistema di comunicazione satellitare Muos (acronimo di Mobile User Objective System) che prevede la realizzazione di quattro satelliti e di quattro stazioni terrestri localizzate, rispettivamente, nel sud ovest dell’Australia, nelle Hawaii, in Virginia e, per l’appunto, in Sicilia, nella stazione radio di Niscemi. A Niscemi è stata prevista la realizzazione, con fondi degli Stati Uniti, di tre antenne paraboliche (trasmittenti su banda Ka, ciascuna con diametro di 18,4 metri e altezza di 25 metri circa, poggianti su basi alte m. 6 e di mq. 112,14), due antenne elicoidali ad altissima frequenza (UHF), tre fabbricati, un serbatoio idrico, una vasca di contenimento quale serbatoio di gasolio, una strada di accesso, marciapiedi, vari impianti di supporto (illuminazione, video sorveglianza ed allarme, ecc). Tale sito ricade: 1) all’interno della zona B (dal 30 dicembre 2009 divenuta zona A), della riserva naturale orientata (RNO) denominata “Sughereta di Niscemi”, istituita con D.A. n. 475 del 25 luglio 1997 ed affidata in gestione all’Azienda foreste demaniali della Regione siciliana; 2) in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. f) e g), del D.Lgs. n. 42/2004); 3) nell’ambito della rete ecologica “Natura 2000”, all’interno del sito di importanza comunitaria (SIC) ITA050007, istituito ai sensi delle Direttive europee 92/43/CEE e 79/409/CEE.
6. – Del procedimento volto all’autorizzazione dell’installazione del sistema Muos vanno riferiti i seguenti passaggi essenziali:
– il Comune di Niscemi – dopo aver espresso un parere favorevole (in data 9 settembre 2008) all’esecuzione degli interventi (fatte salve alcune prescrizioni) e dopo aver prestato il proprio assenso nell’ambito della conferenza dei servizi (tenuta in pari data) indetta per il rilascio del nulla osta prescritto per la realizzazione di opere all’interno della riserva naturale – sollecitò una verifica dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) sulle emissioni elettromagnetiche incidenti sulle case di abitazione più prossime alla stazione radio e poi, il 23 febbraio 2009, avviò un procedimento di riesame del nulla osta rilasciato ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 e, ancora, il 22 ottobre 2009, dispose l’avvio del procedimento di revoca in autotutela del nulla osta rilasciato il 9 settembre 2008, ritenendo indispensabile l’effettuazione di una nuova valutazione di incidenza; quest’ultimo procedimento si concluse con la determinazione dirigenziale n. 45 del 19-20 novembre 2009 recante l’annullamento in autotutela del nulla osta rilasciato il 9 settembre 2008;
– a questo punto, con atto dell’1 giugno 2011, prot. n. 36783, l’Arta – Servizio 1 VAS – VIA, richiamati la relazione tecnica dei professionisti incaricati dal Comune di Niscemi, i dati dell’Arpa, il parere del Dipartimento di ingegneria elettrica, il parere del Consiglio regionale per la protezione naturale (CRPPN) dell’11 maggio 2011, espresse in via sostitutiva, ai sensi della L.R. n. 13/2007, parere favorevole, con prescrizioni, sulla valutazione d’incidenza ambientale relativa al progetto ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 e con provvedimento, prot. n. 43182, del 28 giugno 2011, l’Assessorato – Servizio 4 – PPN autorizzò, ai sensi della L.R. n. 98/1981, l’esecuzione del progetto, con prescrizioni.
7. – Quest’ultimo provvedimento fu impugnato dal Comune di Niscemi, avanti al T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, con il ricorso n.r.g. 1864/2009, notificato il 5 settembre 2011 e dichiarato improcedibile con la pronuncia impugnata.
8. – Successivamente, con delibera n. 61 del 5 febbraio 2013 la Giunta regionale, “considerato che l’Assessorato regionale per il territorio e l’ambiente rappresenta che ad oggi mancano indagini preliminari circa le interferenze del MUOS rispetto alla navigazione area diretta o in partenza dall’aeroporto di Comiso, nonché studi in materia di tutela della salute dalle esposizioni elettromagnetiche e di tutela ambientale delle aree SIC”, diede mandato all’Arta e al dirigente generale del Dipartimento regionale dell’ambiente (D.R.A.) di avviare immediatamente il procedimento per la revoca dei provvedimenti autorizzatori, prot. n. 36783, dell’1 giugno 2011 e prot. n. 43182, del 28 giugno 2011. Sicché, avviato il procedimento, questo si concluse con le seguenti note dell’Arta: a) la n. 15513 del 29 marzo 2013, con cui – richiamato il contenuto della deliberazione della Giunta regionale n. 61/2013 – il dirigente generale del D.R.A., invocando il principio di precauzione, revocò l’autorizzazione ex art. 5 del D.P.R. n. 357/1995, rilasciata con nota n. 36783 dell’1 giugno 2011; b) la n. 15532 del 29 marzo 2013, con cui il dirigente generale del D.R.A., ancora invocando il principio di precauzione, revocò l’autorizzazione all’installazione del sistema Muos, rilasciata con nota n. 43192 del 28 giugno 2011.
9. – Tali atti della Regione furono impugnati dal Ministero della difesa, con i ricorsi n.r.g. 808/2013 e 950/2013, di contenuto pressoché identico, respinti entrambi con la sentenza impugnata.
10. – Infine, con provvedimento dirigenziale del 24 luglio 2013 prot. n. 32513 – premesso che in data 3 maggio 2013 erano stati autorizzati interventi di manutenzione e messa in sicurezza degli impianti e che in data 19 luglio 2013 era stato trasmesso uno studio dell’Istituto superiore di sanità (ISS) dal quale poteva desumersi l’inesistenza di rischi rilevanti e che, consequenzialmente, non sussistessero più i presupposti per l’applicazione del principio di precauzione – il dirigente generale dell’Arta revocò i provvedimenti in autotutela (c.d. “revoca delle revoche”).
11. – Contro quest’ultimo atto si diressero i ricorsi proposti da Legambiente e da No Muos, impugnative accolte con la sentenza gravata, da cui il consequenziale annullamento della revoca delle revoche.
12. – Per una migliore intelligenza del contenuto e del finalismo dell’appello interposto dal Ministero della difesa, giova ripercorrere velocemente lo svolgimento del primo grado del giudizio e il ragionamento decisorio sviluppato dal T.a.r.
13. – Con riguardo allo svolgimento del processo merita dar conto delle seguenti circostanze:
– con ordinanza del 21 dicembre 2012, n. 2713, il T.a.r. dispose una verificazione, individuando quale verificatore il Preside della Facoltà d’ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza” (con facoltà di delega, poi esercitata nei confronti del Prof. Marcello D’Amore), al quale formulò i seguenti quesiti:
“1) qual è l’effettiva consistenza e quali sono gli effetti delle emissioni elettromagnetiche generate dall’impianto MUOS e dagli impianti di radiotrasmissione già esistenti presso la stazione radio di Niscemi?
2) tali emissioni sono conformi alla normativa nazionale e regionale in materia di tutela dalle esposizioni elettromagnetiche e di tutela ambientale delle aree SIC, nonché a quella antisismica?”;
– in data 27 giugno 2013 il verificatore depositò la relazione, concludendo per l’incompletezza tanto dell’indagine di conformità del sito (con finalità di approvazione per gli effetti ambientali elettromagnetici del sistema Muos), proveniente dalla Space and Naval Warfare System Center e riportata nello studio di incidenza ambientale dell’aprile 2008, quanto di quella svolta dall’Arpa;
– a seguito di ciò la Presidenza della Regione siciliana avviò una procedura di revoca delle due autorizzazioni impugnate;
– contro gli atti regionali di revoca, poi adottati, il Ministero della difesa, come sopra riferito, propose un ricorso affidato ai seguenti motivi: la deliberazione n. 61/2013 avrebbe violato le competenze attribuite alla Giunta regionale, giacché esorbitante rispetto al potere di indirizzo generale politico-amministrativo dell’Organo di Governo; del pari illegittimi sarebbero stati anche i provvedimenti dell’Arta, in quanto, benché asseritamente finalizzati alla tutela del traffico aeroportuale di Comiso e della salute della popolazione di Niscemi, sarebbero stati adottati dal dirigente generale dell’Arta, privo di competenze in materia di traffico aereo e di salute pubblica; la deliberazione sarebbe stata comunque illegittima perché avrebbe ignorato l’esistenza di studi di segno positivo sulla salute e sull’ambiente e la permanente chiusura dell’aeroporto di Comiso, dopo il viaggio inaugurale, né avrebbe dato contezza dell’interesse pubblico concreto e attuale perseguito; la Giunta avrebbe conferito mandato congiunto all’Assessore e al dirigente generale per la revoca, ma poi i provvedimenti sarebbero stati adottati dal solo dirigente, in violazione dell’incarico congiunto; la nota dell’Arta n. 36783 dell’1 giugno 2011 sarebbe stata adottata in sostituzione del Comune di Niscemi e, quindi, il provvedimento di ritiro avrebbe dovuto essere adottato dal soggetto istituzionalmente competente a provvedere, appunto il Comune; tutte le motivazioni riferite nella predetta nota sarebbero in realtà insussistenti (stante l’asserita inattività dell’aeroporto e considerata l’esistenza di numerosi studi tutti positivi in materia di tutela della salute, nonché il riferimento del tutto generico ai motivi di interesse pubblico); per tutte le note dell’Arta il Ministero sostanzialmente denunciò altresì la carenza di motivazione;
– in tutti e cinque i procedimenti furono spiegati numerosi interventi sia da parte di soggetti privati, che da parte di enti locali che ancora per conto di organizzazioni che, a vario titolo, assunsero di avere interesse;
– il Tribunale chiese poi al verificatore, Prof. D’Amore, di esprimere le proprie compiute deduzioni sullo studio dell’ISS richiamato nella nota prot. n. 32513/13 (oggetto degli ultimi due ricorsi);
– il verificatore depositò una relazione integrativa in data 12 settembre 2014.
14. – In ordine all’articolato impianto motivazionale della sentenza, occorre riferire, in estrema sintesi, che i cinque snodi fondamentali dell’iterdecisorio percorso dal Tribunale possono essere così ricostruiti in ordine di successione logica:
a) dopo aver riunito i cinque ricorsi proposti in primo grado, in ragione della loro stretta e reciproca connessione e afferendo tutti a una medesima vicenda procedimentale, il T.a.r. ha ritenuto di dover principiare lo scrutinio del materiale cognitorio e decisorio dalle due impugnative, sorrette da censure tra loro sovrapponibili, dirette contro il provvedimento del 24 luglio 2013, prot. n. 32513 (id est la revoca delle revoche), in quanto unico atto all’epoca produttivo di effetti e perché non impugnato dal Comune di Niscemi (ossia il Tribunale ha esaminato, per primi, i ricorsi n. 1825/2013 R.G. e n. 2397/2013 R.G., rispettivamente proposti dalla Legambiente e dal No Muos);
c) una volta riconosciuta la legittimazione ad agire della Legambiente e del No Muos, il Tribunale ha giudicato fondati i due ricorsi; più in dettaglio, il T.a.r. ha ritenuto che tale illegittimità discendesse da tre distinte cause, rispettivamente correlate alla qualificazione degli atti “revocati” risalenti al marzo 2003 (v., subito infra, c.1.), nonché a una duplice carenza istruttoria (v., infra, c.2. e c.3);
c.1) (illegittimità conseguente alla qualificazione degli atti ritirati) il Tribunale ha difatti ritenuto fondata la doglianza con la quale la Legambiente e il No Muos avevano dedotto che le revoche del 29 marzo 2013, prot. n. 15513, e prot. n. 15532, fossero da qualificare più esattamente come annullamenti d’ufficio e, quindi, con effetto ex tunc, con la conseguenza che i lavori medio tempore eseguiti si sarebbero dovuti considerarsi abusivi, perché privi ab origine di titolo legittimante; la revoca del 24 luglio 2013 (c.d. revoca delle revoche) sarebbe stata, invece, tale, avendo essa tenuto conto di un dato sopravvenuto, ossia della relazione dell’ISS (Istituto superiore di sanità) e, quindi, essa – avendo efficacia ex nunc – non avrebbe spiegato alcun effetto ripristinatorio, con la conseguenza che si sarebbero dovuti nuovamente acquisire i prescritti nulla osta e pareri; in sostanza, secondo l’avviso espresso dal T.a.r., l’amministrazione regionale non avrebbe potuto adottare una revoca senza aver disposto, prima, la riedizione del relativo procedimento implicante la nuova acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica (in quanto quella resa nel 2008 era da reputarsi irrimediabilmente scaduta non potendosi fare applicazione, per varie ragioni, dell’art. 39 del D.L. n. 69/2013) e anche del nulla osta dell’Azienda regionale delle foreste demaniali (poiché quello rilasciato il 10 aprile 2008, prot. n. 2610, era del pari da considerarsi scaduto giacché avente validità annuale); in altri termini, la revoca delle revoche non avrebbe potuto far salve le autorizzazioni rilasciate nel 2011 e definitivamente eliminate dal mondo giuridico; più in particolare, gli atti del 29 marzo 2013, attinti dalla revoca del 24 luglio 2013, sarebbero stati, in realtà, degli annullamenti d’ufficio (con esclusione, peraltro, della necessità di prevedere un indennizzo a favore dei soggetti direttamente interessati dai provvedimenti di primo grado), in quanto, in disparte il (non determinante) nomen iuris utilizzato, i due atti riprendevano il contenuto della delibera di Giunta n. 61/2013 e si fondavano, quindi, sulla mancanza di indagini preliminari circa le interferenze del Muos rispetto alla navigazione aerea relativa all’aeroporto di Comiso e di studi in materia di tutela della salute dalle esposizioni elettromagnetiche e di tutela ambientale, e invocavano poi il principio comunitario di precauzione; sennonché tali valutazioni non si basavano su alcun fatto né su alcuna valutazione di interessi sopravvenuti tra la data di rilascio delle autorizzazioni e l’intervento in autotutela, ma ribadivano unicamente una carenza originaria di tipo procedimentale, ossia un radicale vizio di legittimità dell’originario provvedimento, sub speciedel difetto d’istruttoria (e non già una nuova valutazione dell’interesse pubblico); sicché detti atti avrebbero avuto efficacia retroattiva ex tunc;
c.2) (illegittimità dovuta alla prima carenza istruttoria) posto che le autorizzazioni del 2011 erano state propriamente annullate ex tunc per mancanza di studi inerenti, non soltanto alla salute, ma anche all’ambiente e al traffico, l’amministrazione, una volta optato per un nuovo e contrario intervento in autotutela, avrebbe dovuto integrare l’istruttoria su tutti e tre i riferiti profili, rinnovando la valutazione di incidenza e l’indizione della conferenza dei servizi, atteso che non sarebbe stato possibile ritenere sufficiente e determinante l’acquisizione di un solo parere scientifico reso ab externo del procedimento da un organismo tecnico di promanazione ministeriale;
c.3) (illegittimità discendente da una seconda carenza istruttoria) in ogni caso detto studio dell’ISS non era attendibile né adeguato, dal momento che in esso non si dava conto della posizione contraria espressa dai componenti designati dalla Regione siciliana e tenuto anche conto della circostanza che il verificatore nominato dal Tribunale aveva ritenuto che le osservazioni critiche dei predetti esperti fossero condivisibili e che l’ISS si fosse basato su procedure di calcolo semplificate, non in grado di fornire indicazioni accettabili nell’ottica del “caso peggiore”, e che, quindi, fossero necessari ulteriori approfondimenti; né, del resto, si sarebbe potuta considerare la motivazione postuma di cui alle osservazioni fatte pervenire dalla difesa erariale in data 14 e 15 ottobre 2014 (controdeduzioni dell’Ispra, dell’ISS e dell’Enav, depositate nei ricorsi promossi dal Ministero), poiché estranee al procedimento nell’ambito del quale, invece, tutte le indagini avrebbero dovuto eventualmente essere condotte:
d.) i due ricorsi proposti dal Ministero della difesa (n. 808/2013 e n. 950/2013), diretti contro le “revoche” (annullamenti) regionali, erano invece da respingere perché:
– erano infondati i motivi coi quali il Ministero aveva denunciato l’incompetenza della Regione (trattandosi, invero, di atti in autotutela essi erano stati correttamente posti in essere dalla stessa autorità che aveva adottato i provvedimenti ritirati);
– sussisteva in ogni caso la rilevata carenza istruttoria dovuta alla mancanza d’indagini preliminari circa le eventuali interferenze del Muos sulla navigazione aerea in partenza dall’aeroporto di Comiso (il quale non rimase chiuso dopo l’inaugurazione, come invece aveva asserito il Ministero), siccome confermato dai pareri resi dall’Enav (nei quali si individuano procedure strumentali di volo potenzialmente interessate dal fascio Muos) e dal verificatore nella propria relazione, richiamando anche quanto dichiarato proprio dal dott. Bufo dell’Enav nel corso della seduta del 5 febbraio 2013;
– tale circostanza rendeva superfluo qualunque ulteriore approfondimento sui motivi di interesse pubblico all’annullamento in autotutela;
– era pure irrilevante il richiamo ai “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” di cui al comma 9 dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997, che avrebbero giustificato la realizzazione dell’opera posto che di detta speciale disposizione non risultava essersi fatta applicazione nel corso del procedimento di valutazione di incidenza;
e) infine del ricorso promosso dal Comune di Niscemi avverso i due atti autorizzativi del 2011 doveva esser dichiarata l’improcedibilità per omessa impugnativa del provvedimento del 24 luglio 2013; peraltro, l’annullamento in via giurisdizionale di quest’ultimo atto e il rigetto delle impugnative promosse dal Ministero della difesa, sortendo l’effetto di conservare gli interventi in autotutela del 29 marzo 2013, privavano comunque il Comune di qualunque interesse alla coltivazione del proprio ricorso.
15. – L’appello principale del Ministero della difesa è affidato a plurimi e non rubricati mezzi di gravame che possono essere così riassunti:
a) illogicamente il T.a.r. avrebbe ritenuto giuridicamente possibile la revoca di un annullamento d’ufficio;
b) le due autorizzazioni del 2011 e, segnatamente, la n. 36783/11 (riguardante la valutazione dei profili ambientali) e la n. 43182/11 (relativa alla valutazione del rischio per la salute della popolazione di Niscemi) non sarebbero state impugnate dalla Legambiente e dal No Muos né dagli altri co-ricorrenti;
c) il T.a.r., peraltro, avrebbe dovuto dichiarare inammissibili i due ricorsi (invece accolti), stante la carenza di legittimazione delle associazioni locali né bastando la sola vicinitas in assenza della prova della sussistenza di un vulnus specifico a una sfera giuridica;
d) il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibili anche i numerosi interventi spiegati in primo grado, giacché riferibili a soggetti che avrebbero avuto l’onere di proporre un’impugnativa autonoma in via principale;
e) erroneamente il T.a.r. avrebbe qualificato gli atti di ritiro del 29 marzo 2003 alla stregua di altrettanti annullamenti d’ufficio (e non, più propriamente, quali revoche in conformità al loro nomen iuris), posto che di tale figura difettavano i requisiti del termine ragionevole (essendo decorsi ben due anni dall’adozione degli atti ritirati) e della considerazione degli interessi coinvolti e, in particolare, di quelli del Ministero della difesa, in ordine agli impegni internazionali da questo assunti per conto della Repubblica Italiana;
f) soprattutto, detti atti erano illegittimi giacché: 1.) non vi sarebbe stata alcuna carenza istruttoria con riguardo ai profili di tutela ambientale, atteso che, con verbale n. 87 del 16 maggio 2006 il Comitato misto paritetico della Regione siciliana aveva approvato l’installazione escludendo sia rischi di inquinamento di sorta (e pure le incidenze negative sull’ambiente) sia pericoli dovuti all’esposizione al fascio elettromagnetico (giudicati minimi e improbabili); l’Azienda regionale delle foreste demaniali, con il verbale del 6 giugno 2008, aveva escluso ogni impatto negativo del Muos sotto il profilo ecologico e paesaggistico, dichiarandolo altresì compatibile con le finalità di conservazione del SIC “Sughereta di Niscemi”, essendo detto sito interessato dall’impianto solo nella misura, minima, dello 0,0085%; la stessa Azienda, in sede di sopralluogo, aveva accertato che il luogo dell’intervento era libero da vegetazione con scarsa presenza di fauna selvatica; la localizzazione dell’installazione presentava evidenti vantaggi dal punto di vista dell’impatto ambientale ed era migliorativa dell’assetto idrogeologico; l’impatto dovuto alla modifica del carico antropico era trascurabile; con nota del 18 giugno 2008, prot. n. 2293, la Soprintendenza BB.CC.AA. di Caltanissetta aveva autorizzato il progetto ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004; in data 9 settembre 2008, in conferenza di servizi, tutte le Autorità competenti (assente la Soprintendenza, per quanto sopra ricordato) avevano approvato all’unanimità l’installazione; in pari data il Comune di Niscemi aveva rilasciato il nulla-osta ai sensi del D.A. 30 marzo 2007 (in G.U.R.S. n. 20/2007) per le opere in questione; il 27 maggio 2009, l’Arpa aveva rilasciato parere favorevole per il progetto; l’11 maggio 2011 il CRPPN aveva espresso parere favorevole alla realizzazione; con nota, prot. n. 36783, dell’11 giugno 2011, 1’Arta aveva emesso una positiva valutazione di incidenza, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 (di attuazione della direttiva 92/43/CEE), anche per il Comune di Niscemi in via sostitutiva, ex art. 1, comma 3, della L.R. n. 13/07. Solo all’esito di tale complessa istruttoria l’Arta aveva rilasciato le autorizzazioni n. 36783/11 e n. 43182/11; gli artt. 2 e 3 del D.P.R. n. 383/1994 stabiliscono, comunque, che la localizzazione delle opere destinate alla difesa militare spetta esclusivamente dallo Stato (art. 2) e, peraltro, si sarebbe dovuta ritenere anche, di fatto, perfezionata l’intesa con la Regione nell’ambito della conferenza dei servizi; ancora, l’art. 6, comma 4, della Direttiva 21 maggio 1992, n. 92/42/CEE e l’art. 5, comma 9, del D.P.R. n. 357/1997 consentono, anche in caso di negativa valutazione di incidenza (ipotesi non ricorrente nel caso di specie), la realizzazione del progetto per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e con riferimento a esigenze connesse alla sicurezza pubblica (la Commissione europea, al riguardo, dovrebbe rendere parere solo per “altri” motivi, ossia per interessi diversi da quelli connessi alla salute e alla sicurezza pubblica, in precedenza indicati nello stesso comma 9 del citato art. 5); 2.) la Regione non avrebbe potuto né dovuto occuparsi dei profili afferenti al traffico aereo dell’aeroporto di Comiso e alla tutela della salute, trattandosi di materie sottratte alla competenza istituzionale dell’Arta; tali motivazioni non avrebbero potuto dunque legittimamente supportare gli atti di ritiro del 29 marzo 2013; peraltro, l’Enav aveva osservato che la probabilità che un aeromobile venisse a trovarsi lungo il fascio del Muos era molto bassa e comunque limitata a una frazione di secondo; in materia di tutela della salute, vi erano state molte verifiche effettuate dall’Arpa e lo studio dell’Università di Palermo del 22 febbraio 2011, commissionato dalla Presidenza della Regione siciliana; in più, il decreto dell’Arta del 5 settembre 2012 (recante disposizioni per il contrasto delle esposizioni a campi elettromagnetici con finalità di salvaguardia della salute delle popolazioni esposte e per favorire il risanamento ambientale delle aree; in G.U.R.S. n. 54/12), mai impugnato, espressamente non si applicherebbe agli ambiti militari (punto 3);
g) erroneamente poi il T.a.r. avrebbe ritenuto che l’autorizzazione paesistica (ex artt. 146 e 147 del D.Lgs. n. 42/2004) fosse scaduta il 17 giugno 2013, in quanto rilasciata il 18 giugno 2008, sotto la vigenza del D.Lgs. n. 63/2008, con validità quinquennale (art. 2, lett. l); in realtà detta autorizzazione, prevedendo effetti di carattere obbligatorio, era da reputarsi sicuramente un provvedimento di natura ricettizia; in ogni caso, quand’anche fosse stato applicabile il D.Lgs. n. 63/2008, l’autorizzazione paesaggistica, seguendo il ragionamento del primo Giudice, sarebbe scaduta il 17 luglio 2013, ossia quando era già entrato in vigore il D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (art. 39, comma 1, lett. b), il quale ha stabilito che “qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio l’autorizzazione si considera efficace per tutta la durata degli stessi e, comunque, per un periodo non superiore a dodici mesi”;
h) con riferimento al nulla osta dell’Azienda regionale foreste demaniali, il T.a.r. avrebbe omesso di considerare che detta Azienda, oltre che in conferenza di servizi, si era espressa favorevolmente e con specifico riferimento al Muos anche con le note del 9 giugno 2008, n. 2598 e del 10 settembre 2008, n. 4718;
i) con riferimento al provvedimento, prot. n. 32513, del 24 luglio 2013 (c.d. “revoca delle revoche”), il Tribunale avrebbe dovuto tener conto della circostanza che del Gruppo di Lavoro costituito presso l’ISS fecero parte i Ministeri dell’ambiente e della difesa; l’IIS medesimo; l’Ispra; gli Assessorati regionali all’ambiente e alla salute e il Centro europeo salute e ambiente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS); tutti i partecipanti al Gruppo di Lavoro, all’unanimità, approvarono la Relazione per le sezioni ambiente e salute; le conclusioni di tale Relazione – utilizzando il criterio del “caso peggiore”- avevano evidenziato che: i limiti previsti dalla legislazione in materia di protezione della salute umana da campi magnetici erano stati rispettati in larga misura ed erano due volte inferiori al valore di attenzione, con trascurabili esposizioni per la popolazione; non erano prevedibili rischi anche nella ipotesi, poco probabile, di puntamento delle antenne a livello del terreno; era escluso che i livelli di emissione delle antenne potessero interferire con le apparecchiature elettromedicali o provocare malfunzionamenti di pacemaker o defibrillatori cardiaci; il T.a.r. nemmeno avrebbe chiarito perché tale documento non fosse sufficiente posto che il Gruppo di lavoro presso l’ISS nacque da un Accordo tra lo Stato e la Regione (dell’11 marzo 2013) per formare un organismo tecnico indipendente; né sarebbe stato determinante l’argomento della mancata condivisione dello studio del Gruppo di Lavoro da parte dei componenti designati dalla Regione siciliana (le cui argomentazioni, peraltro, sarebbero state già confutate puntualmente dall’Arpa con la nota n. 35320 del 31 maggio 2012), atteso che pure detti componenti avevano approvato all’unanimità le sezioni dello studio riguardanti l’ambiente e la salute e che la Relazione degli esperti della Regione non avrebbe ritenuto inadeguato lo studio ISS, avendo segnalato unicamente la necessità di un attento monitoraggio del funzionamento del sistema e tanto avrebbe evidenziato anche il verificatore nominato dal Tribunale; diversamente opinando il T.a.r. avrebbe occupato lo spazio riservato al merito amministrativo;
l) il Tribunale, quindi, non avrebbe potuto respingere i ricorsi proposti dal Ministero della difesa e, soprattutto, non avrebbe potuto utilizzare i pareri resi dall’Enav per supportare la tesi di una pretesa carenza istruttoria delle originarie autorizzazioni; ferma restando la ribadita incompetenza regionale al riguardo, gli studi dell’Enav non sarebbero affatto stati di segno contrario all’installazione;
m) infine il T.a.r avrebbe erroneamente ritenuto irrilevanti i “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” ex art. 5, comma 9, del D.P.R. n. 357/1997 (diversi e distinti dagli “altri motivi…” di cui al successivo comma 10), giacché il predetto comma 9 serviva a dimostrare, in via argomentativa, che, ove pure la valutazione di incidenza fosse stata negativa, nondimeno l’amministrazione avrebbe comunque potuto realizzare il Muos, dal momento che l’oggettiva ricorrenza dei predetti motivi imperativi e le già previste misure compensative avrebbero reso non annullabili le autorizzazioni del 2011 (e la “revoca delle revoche” del 2013), ai sensi dell’art. 21-octies della L. n. 241/1990.
16. – L’appello incidentale interposto dal Comune di Niscemi si dirige contro le statuizioni della sentenza impugnata con le quali il T.a.r.:
a) ha ritenuto improcedibile il ricorso proposto dallo stesso Comune e iscritto con il n.r.g. 1864/2011 e, in via consequenziale, non ha esaminato detta impugnativa (i cui motivi sono stati riproposti in appello; tale censura si articola in tre doglianze);
b) non ha esaminato le eccezioni – riproposte in appello a norma dell’art. 101 c.p.a. – di irricevibilità, inammissibilità e improcedibilità dei ricorsi proposti dal Ministero della difesa;
c) ha disposto la compensazione delle spese processuali del primo grado del giudizio.
17. – L’appello incidentale proposto da Legambiente investe le parti della decisione con le quali il Tribunale:
a) ha ritenuto che la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Legambiente, con l’atto di intervento ad adiuvandum spiegato nell’ambito del ricorso n.r.g. 1864/2011 (promosso dal Comune di Niscemi), esorbitasse dagli interessi di tipo ambientalistico e che, in ogni caso, detta questione non fosse immediatamente rilevante e neppure non manifestamente infondata (la questione di legittimità, per violazione degli artt. 11, 80 e 87 Cost., prospettata dalla Legambiente investiva gli accordi bilaterali tra il Ministero della difesa e gli Stati Uniti d’America per la realizzazione del Muos in Italia);
b) (motivo formulato in via subordinata per la sola ipotesi dell’accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della difesa “… nel senso ipotizzato dalla difesa erariale – di ritenere cioè che l’intervento in autotutela sulle autorizzazioni del 2011 sia da qualificare come “revoca” e non come annullamento …”; così a pag. 16 dell’appello incidentale della Legambiente) non ha esaminato tutte le eccezioni e le questioni del ridetto intervento ad adiuvandum;
c) (sempre in via subordinata, “ove … (il) … C.G.A. volesse accedere all’…assunto della difesa erariale sulla … efficacia e ‘ultra attività’ dell’autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza di Caltanissetta del 18 giugno 2008 … determinandosi dunque alla riforma della sentenza appellata ritenendo valida ed efficace la detta autorizzazione alla data di entrata in vigore del c.d. Decreto del Fare (22.06.2013)”; così a pag. 31 dell’appello incidentale) non ha esaminato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2004;
d) (in via autonoma) ha dichiarato improcedibile il ridetto ricorso n.r.g. 1864/2011, non avendo considerato che il Comune di Niscemi non aveva impugnato solo i provvedimenti autorizzativi poi revocati in autotutela, ma anche altri provvedimenti (quali il verbale della conferenza dei servizi del 9 settembre 2008, le note Arpa del febbraio e del maggio 2009 e il parere dell’11 maggio 2011);
e) ha compensato le spese processuali.
18. – Va dato atto, infine, che, in pendenza del giudizio, l’impianto Muos è stato sottoposto a sequestro con decreto del G.I.P. del Tribunale di Caltagirone del 31 marzo 2015 e che detto decreto è stato confermato dal Tribunale del Riesame di Catania del 27 aprile 2015.
19. – Così ricostruito in sintesi l’enorme volume delle questioni devolute in secondo grado e prima di ogni considerazione in diritto, il Collegio ritiene che la logica processuale imponga di principiare l’esame dallo scrutinio delle eccezioni preliminari, riproposte in appello, dal Comune di Niscemi (v., supra, sub 16.b). Più in dettaglio il Comune aveva eccepito:
a) l’improcedibilità dei ricorsi n.r.g. 808/2013 e n.r.g. 950/2013 per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’intervenuta revoca delle revoche;
b) in via subordinata, l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’improcedibilità dei sunnominati ricorsi per autonomi profili: segnatamente, sarebbero state tardivamente proposte dal Ministero della difesa le impugnative dirette contro la delibera di Giunta regionale n. 61/2013 e, consequenzialmente, sarebbero inammissibili le medesime impugnative laddove rivolte con i provvedimenti emanati in autotutela dell’Arta;
c) l’improcedibilità (recte: inammissibilità) del solo ricorso n.r.g. 808/2013 perché non notificato al Comune di Niscemi né ad alcun altro controinteressato;
d) l’inammissibilità dei ricorsi per carenza di legittimazione attiva del Ministero della difesa;
e) l’inammissibilità dei ricorsi per omessa dimostrazione, da parte del Ministero della difesa, della titolarità di un interesse attuale alla proposizione del ricorso;
f) l’inammissibilità del solo ricorso n.r.g. 950/2013 per violazione del principio del “ne bis in idem”, avendo esso forma e contenuto identico al ricorso n.r.g. 808/2013, giacché, secondo la giurisprudenza, il ricorso identico a uno precedente deve esser dichiarato inammissibile a meno che non sia destinato a sostituirlo.
In tutta evidenza l’esame di siffatte eccezioni è prioritario rispetto a ogni altra questione, poiché l’eventuale fondatezza di una sola di esse renderebbe inammissibile l’appello e, quindi, farebbe cessare gran parte della materia del contendere.
20. – Reputa, tuttavia, il Collegio che le riferite eccezioni siano infondate. Invero:
– non si è determinata alcuna improcedibilità dei ricorsi n.r.g. 808/2013 e n.r.g. 950/2013 per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’intervenuta revoca delle revoche e ben ha fatto il T.a.r. a non rendere una declaratoria in tal senso, tenuto conto dell’annullamento in via giurisdizionale del suddetto atto di revoca delle revoche;
– la circostanza che i ricorsi siano tardivi e, quindi, parzialmente irricevibili, in relazione alla delibera di Giunta regionale n. 61/2013 non rende le medesime impugnative inammissibili, dal momento che, per quanto si chiarirà infra, la sunnominata delibera di Giunta, quand’anche divenuta inoppugnabile, comunque non avrebbe potuto costituire una idonea base giustificativa dei provvedimenti di ritiro emanati dall’Arta, provvedimenti che comunque erano autonomamente aggredibili per i vizi denunciati dall’amministrazione della difesa;
– sussiste poi, effettivamente, l’inammissibilità del ricorso n.r.g. 808/2013 (per il denunciato difetto di contraddittorio, non essendo stato evocato in giudizio alcun controinteressato), nondimeno siffatta inammissibilità deve reputarsi superata dalla notificazione del secondo ricorso n.r.g. 950/2013, destinato, per l’appunto, a sostituire il primo, così che – stante la sostanziale identità delle due impugnative – siffatta inammissibilità non comporta alcuna perdita di materiale cognitorio (essendo detto materiale confluito, per effetto della disposta e non contestata riunione dei ricorsi in primo grado, in un’unica res iudicanda) e decisorio;
– non sussiste alcuna l’inammissibilità dei ricorsi proposti in primo grado dal Ministero della difesa per carenza di legittimazione attiva e per omessa dimostrazione della titolarità di un interesse attuale alla proposizione del ricorso, dal momento che la legittimazione e l’interesse a ricorrere (e ad impugnare) del Ministero appellante discendono, all’evidenza, dalla circostanza che il Muos è un’opera realizzata in base ad accordi bilaterali, conclusi tra gli Stati Uniti d’America e, per l’appunto, il Ministero della difesa della Repubblica Italiana. Inoltre, non è in contestazione che l’impianto del quale si controverte sia stato edificato su territorio italiano, appartenente al demanio militare (e, quindi, la titolarità dominicale del sito e la relativa gestione spettano allo Stato e, in particolare, al Ministero della difesa); d’altra parte, in base all’art. 5 del D.P.R. 19 aprile 2005, n. 170 (Regolamento concernente disciplina delle attività del Genio militare, a norma dell’articolo 3, comma 7-bis, della L. 11 febbraio 1994, n. 109; abrogato dal D.P.R. n. 236/2012, ma vigente all’epoca dei fatti), le attività connesse alla realizzazione di infrastrutture sul territorio nazionale, finanziate da Paesi alleati – oltre ad essere disciplinate da appositi memorandum di intesa – erano espletate da Geniodife sulla base di progetti redatti dal Paese Alleato, fatti salvi i particolari casi nei quali, su proposta di Geniodife, lo Stato maggiore della difesa avesse autorizzato il Paese Alleato all’espletamento di tutte le attività connesse alla realizzazione. D’altra parte, l’art. 233, comma 1, lett. t), del D.Lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare) fa rientrare, anche ai fini ambientali, nel novero delle opere destinate alla difesa nazionale (interesse istituzionalmente curato dall’omologo Dicastero) le attività finanziate con fondi comuni della N.A.T.O. e da utenti alleati sul territorio nazionale.
Ancora l’Ufficio legislativo del Ministero della difesa, in risposta alla sollecitazione rivolta dal T.a.r. con l’ordinanza n. 1263 del 6 febbraio 2013, ha chiarito, con idoneo supporto documentale, che il Muos è riferibile alle esigenze della N.A.T.O., giusta quanto stabilito dall’art.1, paragrafo 2, delMemorandum d’intesa tra il Ministero della difesa della Repubblica Italiana e il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle Forze statunitensi in Italia, secondo cui la collaborazione per la difesa comune tra i due Stati si svolge a livello bilaterale e nei limiti del Trattato del Nord Atlantico.
Non è pertanto seriamente controvertibile che il Ministero della difesa abbia piena legittimazione processuale (e relativo interesse a impugnare la sentenza del T.a.r. per la Sicilia) in ragione della sua condizione di controparte degli accordi stipulati con l’amministrazione statunitense, di proprietario del sito ove sono state realizzate le opere, di amministrazione competente per l’espletamento delle attività connesse a dette realizzazioni, nonché, infine, della qualificazione delle predette infrastrutture – anche ai fini ambientali – come destinate alla difesa nazionale.
21. – Una volta sgombrato il campo dalle eccezioni pregiudiziali e preliminari, il Collegio ritiene di dover affrontare il merito della controversia, seguendo il medesimo iter percorso dal T.a.r. Occorre, infatti, verificare dapprima la legittimità della revoca delle revoche, non solo perché essa, all’epoca della decisione da parte del Primo Giudice, era l’unico provvedimento produttivo di effetti, ma anche perché tale abbrivo era ed è imposto dalla logica giuridica. Nel caso di specie si è difatti al cospetto di un duplice e contrario esercizio di autotutela, da parte della Regione siciliana; in altri termini, è accaduto che dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione adottati dalla Regione siciliana nel 2011 siano stati ritirati dalla Regione nel marzo del 2013 e che, a distanza di pochi mesi, gli stessi atti di ritiro siano stati, a loro volta, ritirati in autotutela dalla stessa Regione, secondo, insomma, la seguente serie logica e cronologica: P→At1(-P)→At2(-At1), con P (provvedimento), A (autotutela) e t (tempo).
Per un ordinato e rigoroso esame delle questioni, occorre dunque ripercorrere all’indietro la serie attizia testé descritta, principiando dal verificare se sussistano, o no, le illegittimità della revoca delle revoche (At2), ravvisate dal T.a.r. e contestate dal Ministero della difesa.
22. – Al riguardo questo Consiglio ritiene di dover condividere l’approdo finale al quale è pervenuto il Tribunale, seppur sulla base di un ragionamento decisorio non totalmente sovrapponibile a quello sviluppato dal Primo Giudice.
Contro tale annullamento in via giurisdizionale, come sopra riferito, il Ministero ha dedotto che:
– (sub §. 15.a) illogicamente il T.a.r. avrebbe ritenuto possibile una revoca di un annullamento d’ufficio;
– (sub §. 15.c) il T.a.r. avrebbe dovuto dichiarare inammissibili i due ricorsi accolti;
– (sub §. 15.d) il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibili anche i numerosi interventi spiegati in primo grado;
– (sub §. 15.e) erroneamente il T.a.r. avrebbe qualificato gli atti di ritiro del 29 marzo 2003 alla stregua di annullamenti d’ufficio;
– (sub §. 15.g) erroneamente il T.a.r. avrebbe ritenuto che l’autorizzazione paesistica (ex artt. 146 e 147 del D.Lgs. n. 42/2004) fosse scaduta il 17 giugno 2013;
– (sub §. 15.h) il T.a.r. avrebbe omesso di considerare che l’Azienda regionale foreste demaniali; oltre che in conferenza di servizi, si era espressa favorevolmente e con specifico riferimento al Muos anche con le note del 9 giugno 2008, n. 2598 e 10 settembre 2008, n. 4718;
– (sub §. 15.i) il Tribunale avrebbe dovuto tener conto dei lavori e delle conclusioni raggiunte dal Gruppo di Lavoro e il sindacato giurisdizionale non avrebbe potuto impingere nel merito amministrativo.
Ebbene, il primo argomento – non si è difatti in presenza di un autonomo motivo – non è dirimente né convincente, dal momento che la teoria generale del diritto amministrativo non esclude la possibilità di una revoca di un annullamento d’ufficio (si pensi, ad esempio, al caso della sopravvenuta riconsiderazione di un interesse pubblico ritenuto recessivo in sede di autoannullamento).
Fermo restando poi che il T.a.r. ha correttamente riconosciuto la legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti (per i condivisibili motivi spiegati nella sentenza gravata), va detto che il relativo mezzo di gravame, quand’anche fosse ipoteticamente fondato, non sarebbe comunque determinante ai fini del decidere (se non, al più, per i fini di una declaratoria parziale di inammissibilità delle impugnative) dal momento che i ricorsi accolti in primo grado furono proposti anche da semplici cittadini (per i quali certamente vale, ed è preponderante, il criterio della vicinitas).
Il Ministero della difesa non ha poi specificatamente indicato, come sarebbe stato suo onere, quali fossero gli interventi asseritamente inammissibili (perché proposti da soggetti che avrebbero dovuto proporre una tempestiva, autonoma impugnativa); seppur tale considerazione sia decisiva, va anche osservato, per completezza, che il Ministero nemmeno ha interesse a dolersi della mancata declaratoria di inammissibilità di molti interventi, atteso che il Tribunale del contenuto delle difese svolte dagli intervenuti non ha tenuto conto (almeno non in maniera differenziata rispetto al materiale cognitorio e decisorio introdotto dalle parti principali del contenzioso) nella decisione impugnata.
Non è condivisibile l’appello laddove il Ministero della difesa sostiene che il T.a.r. avrebbe erroneamente qualificato gli atti di ritiro del 29 marzo 2013 alla stregua di annullamenti d’ufficio. Al contrario, il Collegio ritiene che il T.a.r., in disparte la criticità delle controvertibili conclusioni alle quali è pervenuto (sul punto v. infra), abbia esattamente qualificato i ridetti atti di ritiro in termini di altrettanti annullamenti e non di revoche. Ed invero, gli argomenti contrari utilizzati dal Ministero della difesa sono deboli e, invece, convincente e condivisibile è la ricostruzione giuridica del T.a.r. Sicuramente non è stato, difatti, violato nella fattispecie il requisito (preclusivo dell’annullabilità d’ufficio di un atto) del completo decorso di un termine ragionevole dall’adozione di un provvedimento, atteso che la ragionevolezza del tempo trascorso va valutata in concreto in relazione alla natura dell’atto da ritirare e delle eventuali ulteriori circostanze idonee a consolidare affidamenti. Orbene, certamente un lasso temporale di durata biennale non era tale da risultare irragionevole, una volta considerate le complesse valutazioni istruttorie, in teoria, richieste per un riesame delle problematiche sociali, tecniche, economiche, urbanistiche, sanitarie, ambientali intercettate dalla realizzazione del Muos. Poi è da escludere che il Ministero della difesa potesse vantare un consolidato affidamento, nel 2013, sulla legittimità degli atti autorizzativi adottati nel 2011, giacché che questi erano stati attinti da un’impugnativa, quella del Comune di Niscemi, proposta nel corso dello stesso 2011.
L’argomento della rilevanza degli interessi militari e internazionali della cui tutela il Ministero della difesa sarebbe investito è stato enfatizzato dall’appellante in modo eccessivo ed improprio. Il Ministero della difesa sembra tenere, invero, in non cale la circostanza che, nel caso in esame, si fronteggiano interessi e principi giuridici aventi quanto meno pari dignità costituzionale di quelli sopra ricordati (si pensi alla tutela della salute umana e della salubrità dell’ambiente), sicché il protestare la sicura prevalenza, nel bilanciamento, di quelli della difesa nazionale e internazionale si risolve, a ben vedere, in una immotivata petizione di principio.
A fronte della infondate obiezioni del Ministero del difesa sono invece condivisibili e dirimenti le considerazioni svolte dal T.a.r. e, segnatamente, quelle relative al fatto che il motivo principale che condusse la Regione siciliana all’adozione degli atti di ritiro fu il riscontro di una carenza originaria dell’istruttoria prodromica agli atti autorizzativi del 2011 e, quindi, un tipico vizio di legittimità suscettibile di costituire oggetto di un annullamento d’ufficio, con efficacia ex tunc, ma non certo di una revoca.
23. – La circostanza che il Consiglio condivida la qualificazione giuridica data dal T.a.r. agli atti regionali di ritiro del 2013 consente di ritenere assorbito il motivo dell’appello incidentale proposto dalla Legambiente e riportato sub §. 17.c), formulato in via subordinata per la sola ipotesi dell’accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della difesa “… nel senso ipotizzato dalla difesa erariale – di ritenere cioè che l’intervento in autotutela sulle autorizzazioni del 2011 sia da qualificare come “revoca” e non come annullamento …”; così a pag. 16 dell’appello incidentale della Legambiente).
24. – Ha errato invece il T.ar. nel ritenere che la validità quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica – in quanto rilasciata il 18 giugno 2008, sotto la vigenza del D.Lgs. n. 63/2008 – fosse venuta a scadere il 17 giugno 2013. In effetti, il T.a.r. non ha considerato quale fosse il tenore dell’art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 nel mese di giugno 2008. Difatti la disposizione, oltre al comma 4, ultimo periodo (“L’autorizzazione è valida per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.”), conteneva anche un comma 11 che recitava:“L’autorizzazione paesaggistica diventa efficace decorsi trenta giorni dal suo rilascio ed è trasmessa, senza indugio, alla soprintendenza che ha reso il parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente allo stesso parere, alla regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali interessati e, ove esistente, all’ente parco nel cui territorio si trova l’immobile o l’area sottoposti al vincolo.”.
Sicché, sulla base di tale previsione (successivamente modificata anche dall’art. 3-quater, comma 1, del D.L. 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 ottobre 2013, n. 112, e, successivamente, dall’art. 12, comma 1, lett. a), D.L. 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2014, n. 106), il Tribunale ha erroneamente individuato il dies ad quem di detta validità, dal momento che il decorso del termine quinquennale ebbe a maturare il 17 luglio 2013, quando era già entrato in vigore il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, il cui art. 39, comma 1, lett. b), stabilì che “qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio l’autorizzazione si considera efficace per tutta la durata degli stessi e, comunque, per un periodo non superiore a dodici mesi”. Del resto, non è sostenibile, valorizzando l’improprietà del lessico tecnico-giuridico usato dal Legislatore, che l’autorizzazione in questione potesse, al contempo, essere “valida” fino al 17 giugno 2013, ma “efficace” fino al 17 luglio 2013. In realtà, nel contesto dispositivo, il richiamo alla “validità” deve essere riferito alla “efficacia” (giacché, secondo la teoria generale del diritto, la scadenza di un termine legale previsto per il dispiegamento degli effetti di una figura provvedimentale non comporta alcuna successiva invalidità di un atto già validamente adottato, ma solo la sua definitiva inefficacia).
Vanno, pertanto, riformate, in accoglimento della relativa doglianza formulata con l’appello principale, le statuizioni contenute nel §. 2.2. (Il regime dell’autorizzazione paesaggistica) della motivazione in diritto, di cui alla sentenza impugnata.
25. – Analogamente non è rilevante, ai fini del decidere, che fosse scaduto il nulla-osta rilasciato dall’Azienda regionale delle foreste, rilasciato il 10 aprile 2008, prot. n. 2610. La ravvisata irrilevanza discende da due considerazioni e, segnatamente:
– dalla circostanza che la validità del nulla-osta, espressamente limitata a dodici mesi, si riferiva, ovviamente, all’inizio dell’esecuzione dei lavori autorizzati (ossia, tra gli altri, la risagomatura delle scarpate dei terrapieni, la realizzazione di un sistema di canalette e pozzetti di raccolta e di dispersione, la recinzione dell’area e la costruzione di un impianto idrico con finalità antincendio) e non risulta che tali lavori non siano stati iniziati nel termine stabilito;
– in ogni caso, anche la “volontà” amministrativa dell’Azienda regionale delle foreste rifluì nell’atto conclusivo della conferenza dei servizi del 9 settembre 2008 (alla quale l’Azienda partecipò con un proprio rappresentante).
26. – L’accoglimento dell’impugnazione, in questa parte, proposta dal Ministero della difesa comporta la necessità di esaminare l’appello incidentale della Legambiente laddove (§. 16.c) è stata censurata la sentenza per non aver esaminato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2004.
Secondo la Legambiente l’art. 39 del D.L. n. 69/2013 presterebbe il fianco a dubbi di costituzionalità perché:
– l’interruzione dei lavori, conseguente agli atti di ritiro del marzo 2013, avrebbe determinato una soluzione di continuità nella validità della autorizzazione paesaggistica;
– diversamente opinando, le autorizzazioni ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, per un verso, finirebbero per avere una durata infinita e, per altro verso, permetterebbero una sanatoria sostanziale di lavori interrotti e poi ripresi abusivamente;
– in ogni caso l’art. 39, comma 4, del D.L. n. 69/2013 contrasterebbe con l’art. 9 Cost., con il D.Lgs. n. 42/2009, con la Convenzione europea del paesaggio, ratificata in Italia con la L. n. 14/2006, e con la normativa in materia di tutela dei siti della Rete Natura 2000, dacché la proroga delle autorizzazioni si porrebbe in contrasto con l’esigenza di tutelare il paesaggio quale valore di straordinario rilievo, non suscettibile di essere sottordinato a nessun altro interesse, tanto meno a quelli militari;
– l’impianto del Muos sarebbe in radicale contrasto con la tutela ambientale.
All’evidenza la questione di legittimità costituzionale, così argomentata, è manifestamente infondata, poiché:
– l’interruzione dei lavori è una circostanza fattuale che non interferisce con la durata della autorizzazione che attinge, per contro, il piano strettamente giuridico (e, del resto, si presenta del tutto illogica l’argomentazione secondo cui qualunque interruzione dei lavori comporterebbe l’automatica perdita di efficacia di un atto autorizzativo);
– non si comprende (né la Legambiente lo spiega) perché la “proroga” (in realtà si è in presenza di una precisazione legislativa circa l’individuazione del dies ad quem dell’efficacia quinquennale di una autorizzazione già rilasciata e, tuttora, efficace e, quindi, nemmeno si è al cospetto di una previsione retroattiva) della efficacia di un’autorizzazione ne comporterebbe una durata infinita;
– non vi è stata nella fattispecie alcuna “sanatoria sostanziale” di lavori abusivi, anche perché – in forza di quanto si chiarirà infra – gli atti regionali di ritiro del marzo 2013 erano illegittimi (diversamente da quanto ritenuto dal T.a.r.);
– non si ritiene che la tutela del paesaggio e dell’ambiente, pur avendo uno straordinario rilievo, costituisca anche un valore assoluto, nel senso indicato dalla Legambiente, ossia sempre ed automaticamente prevalente su ogni altro valore costituzionale;
– soprattutto, non si comprende perché la determinazione di un differente dies ad quem di un termine di efficacia quinquennale comporterebbe, a livello normativo, un vulnus del valore costituzionale della tutela ambientale e paesaggistica;
– infine, l’argomento secondo cui l’impianto del Muos sarebbe in radicale contrasto con la tutela ambientale è frutto di una palese, quanto fallace, inversione logica tra demonstratum e demonstrandum.
In questa parte va dunque respinto l’appello incidentale interposto dalla Legambiente.
27. – Tanto precisato in ordine alla qualificazione degli atti regionali di ritiro del 2013, occorre verificare se correttamente, o no, il T.a.r. abbia ritenuto illegittima la revoca delle revoche. Ebbene, il Collegio reputa che anche questa conclusione debba essere condivisa. Infatti, a prescindere dal profilo relativo alle conseguenze ritratte dal Tribunale circa la legittimità dei lavori disposti dopo gli annullamenti d’ufficio delle autorizzazioni del 2011 (profilo rispetto al quale l’opinione del Consiglio diverge da quella del T.a.r.), il Tribunale ha sicuramente colto un aspetto di insuperabile invalidità del provvedimento n. 32513 del 24 luglio 2013, laddove – sulla base del solo studio del Gruppo di Lavoro costituito presso l’ISS – ha ritenuto superate tutte le criticità in pregresso ravvisate con riguardo alle autorizzazioni del 2011 (annullate d’ufficio, giova ricordarlo, per mancanza di istruttoria in merito ai temi della salute, dell’ambiente e della sicurezza del traffico aereo). Ed invero, a prescindere dalla questione della legittimità, o no, di un annullamento regionale che affronti questioni di competenza di altre autorità (aspetto che sarà esaminato infra, trattando dell’appello principale nella parte in cui contesta il rigetto dei ricorsi proposti in primo grado dal Ministero della difesa), è indubbiamente viziato da eccesso di potere per illogicità un atto di ritiro che rimuova un precedente provvedimento adottato in autotutela (allorquando quest’ultimo sia stato motivato in relazione a più aspetti) sulla base della considerazione di un solo profilo, del tutto ignorando gli altri presi in esame nell’atto ritirato. L’eccesso di potere discende dalla violazione di consolidati principi, in materia di esercizio dell’autotutela nei confronti di un atto plurimotivato, secondo i quali: a) se un provvedimento è di contenuto positivo (ossia ampliativo della sfera giuridica del destinatario) per n-ragioni, allora la sua rimozione in autotutela può essere disposta per la successiva, ritenuta sussistenza di un solo profilo di illegittimità; ma b) se un provvedimento è di contenuto negativo (come nel caso – ricorrente nella fattispecie – del ritiro di un precedente atto ampliativo) per n-ragioni, allora l’eventuale autotutela deve fondarsi sulla successiva, ritenuta insussistenza, originaria o successiva all’adozione del provvedimento, di tutte le n-ragioni di segno negativo. Nel caso in esame, invece, la Regione siciliana non si attenuta a quest’ultimo criterio e, dopo aver annullato d’ufficio le autorizzazioni del 2011, per dichiarate esigenze di protezione a) della salute, b) dell’ambiente e c) della sicurezza del traffico aereo in partenza dall’aeroporto di Comiso, ha nondimeno ritenuto di poter validamente ritirare poco dopo detti atti di annullamento sulla base della sola considerazione della ravvisata insussistenza di pericoli per la salute, cioè sulla scorta del solo motivo a), ignorando del tutto i profili b) e c).
La natura assorbente del vizio in questione giustifica quindi l’annullamento della revoca delle revoche, siccome disposto dal T.a.r. e, conseguentemente, implica l’assorbimento di ogni questione relativa alla considerazione, o no, delle conclusioni raggiunte nell’ambito del Gruppo di Lavoro, questione oggetto del motivo di appello sub §. 15.i).
Erra poi il Ministero della difesa nel ritenere che il T.a.r. abbia finito per sindacare il merito amministrativo, dal momento che l’accoglimento dell’azione di annullamento da parte del Primo Giudice è scaturita dalla considerazione di un vizio strutturale del provvedimento di revoca delle revoche (vizio del quale si è dato testé conto).
28. – Una volta confermata la sentenza nelle statuizioni relative alla qualificazione come annullamenti d’ufficio degli atti regionali di ritiro del 2013 (pur non potendosi condividere le statuizioni circa la perdita di efficacia della autorizzazione paesaggistica né quelle svolte in relazione al nulla-osta rilasciato dall’Agenzia regionale delle foreste demaniali) e anche nella parte relativa all’annullamento in via giurisdizionale della revoca delle revoche, occorre vagliare la fondatezza dell’appello principale con riferimento alla contestazione del rigetto dei due ricorsi, proposti in primo grado dal Ministero della difesa, diretti contro i predetti atti regionali di ritiro.
Il T.a.r. ha giudicato legittimi tali provvedimenti di secondo grado sulla scorta di tre rilievi:
a) sarebbe stato infondato il motivo con il quale il Ministero della difesa ebbe a dedurre il vizio di incompetenza;
b) gli atti di annullamento in questione sarebbero stati correttamente adottati sul presupposto dell’assenza di indagini preliminari circa le possibili interferenze tra il Muos e la navigazione aerea in partenza dall’aeroporto di Comiso (atteso che, diversamente da quanto allegato dall’amministrazione appellante, detto aeroporto non rimase chiuso dopo l’inaugurazione);
c) la consistenza del precedente profilo avrebbe reso ininfluente l’approfondimento sui motivi di interesse pubblico.
29. – Questa parte della sentenza gravata merita di essere riformata. Diversamente dal Tribunale, invero, questo Consiglio ritiene che gli atti regionali di ritiro fossero totalmente illegittimi sotto vari profili. Difatti, era da reputarsi manifestamente insufficiente l’istruttoria sulla cui base furono adottati i provvedimenti in parola (nonché, conseguentemente, la relativa motivazione, che di tale istruttoria è l’estrinsecazione formale), soprattutto ove essa venga doverosamente rapportata a quella che era stata svolta in sede di rilascio delle autorizzazioni ritirate.
Si trattava, come sopra riferito, delle autorizzazioni del 1° giugno 2011, n. 36783 (rilasciata “esclusivamente ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 375/97”, ossia unicamente con riguardo ai profili ambientali relativi alla conservazione degli habitat di cui al citato decreto), nonché del 28 giugno 2011, n. 43182 (che ha esteso la valutazione anche al rischio per la salute).
Rileva osservare che tali provvedimenti di primo grado furono adottati previa valutazione degli esiti – tutti favorevoli – degli atti istruttori acquisiti ai relativi procedimenti: e, in particolare, della conferenza dei servizi del 9 settembre 2008; della nota dell’Arpa del 18 febbraio 2009, n. 2535, e relativa integrazione del 27 maggio 2009, n. 9196; del parere dell’Università di Palermo (che aveva escluso rischi per la salute umana), nonché del parere del CRPPN dell’11 maggio 2011.
A fronte di siffatta articolata istruttoria tecnica (a prescindere dal profilo attinente alla sua attendibilità intrinseca, su cui infra), sulla quale si erano basati i provvedimenti di primo grado, gli atti regionali di ritiro espressamente affermano di essersi fondati sulla valutazione dei seguenti elementi:
a) la delibera della Giunta regionale 5 febbraio 2013, n. 61; da cui – nonostante la relativa valenza essenzialmente politica, ma non certamente tecnica – i due atti di ritiro traggono quasi integralmente, come si vedrà meglio infra, la loro motivazione;
b) l’avvio di un procedimento di sospensione in autotutela delle autorizzazioni, poi annullate;
c) il rilievo – invero giuridicamente neutro – che la Marina militare degli Stati Uniti d’America, in seguito all’avvio di detto procedimento di sospensione e di quello di revoca che successivamente sarebbe sfociato nell’adozione dei provvedimenti impugnati, non avesse ancora sospeso i lavori autorizzati con detti atti;
d) l’asserita applicazione, alla vicenda in discorso, “del principio comunitario di precauzione, da impiegare nel caso in cui i dati scientifici non permettano una valutazione del rischio” (peraltro dichiaratamente riferito, detto rischio, unicamente alla esigenza di “prevenire pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piani o ai progetti previsti”).
Orbene, tanto premesso, emerge con evidenza che la motivazione dei provvedimenti di ritiro è sostanzialmente riconducibile, stante l’irrilevanza giuridica dei fatti di cui alle superiori lett. b) e c), unicamente alle circostanze di cui alle suindicate lett. a) e d).
Ciò vale quanto dire che i provvedimenti di revoca impugnati sono stati adottati soltanto: «CONSIDERATO che nella citata Delibera di Giunta n. 61 viene rappresentato che l’Assessore regionale per il Territorio e l’Ambiente chiarisce che ad oggi mancano indagini preliminari circa le interferenze del MUOS rispetto alla navigazione aerea relativa all’aeroporto di Comiso e studi in materia di tutela della salute dalle esposizioni elettromagnetiche e di tutela ambientale del SIC ITA050007 “Sughereta di Niscemi”»; nonché in «applicazione del principio comunitario di precauzione, da impiegare nel caso in cui i dati scientifici non permettano una valutazione del rischio, in quanto consente efficacemente di prevenire pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piani o ai progetti previsti».
È quasi superfluo osservare, quanto al “Considerato” sopra trascritto, che giuridicamente l’autotutela non può legittimamente configurarsi come mera attuazione di una (nuova) direttiva politica espressa dalla Giunta regionale: sicché i fatti ivi indicati vanno partitamente scrutinati.
Ciò induce a rilevare, in primo luogo, come le asserite “interferenze del MUOS rispetto alla navigazione aerea relativa all’aeroporto di Comiso” – in disparte la sollevata questione dell’incompetenza della Regione in questa materia – non abbiano nulla a che spartire con le autorizzazioni ambientali rilasciate dalla Regione e poi dalla stessa revocate; sicché tale argomento non può essere legittimamente posto a fondamento, neppure concorrente, della revoca di dette autorizzazioni. Né, soprattutto, appare sufficientemente meditata la declinazione che, del condivisibile principio di precauzione, è stata operata dall’amministrazione procedente in sede di autotutela.
Si impone, innanzitutto, una separata considerazione dei potenziali rischi per la salute umana, rispetto a quelli per la «tutela ambientale del SIC ITA050007 “Sughereta di Niscemi”». Di questi ultimi, invero, nessuna evidenza emergeva (dai richiamati atti istruttori che sorreggevano le autorizzazioni ritirate) circa l’effettiva sussistenza di un rischio che le paventate esposizioni elettromagnetiche potessero nuocere significativamente alla flora o alla fauna del SIC ITA050007 “Sughereta di Niscemi”.
Per il caso, invece, che la generica dizione in esame si riferisse all’asserita lesione di beni paesaggistici, va ricordato, da un lato, che agli atti del procedimento autorizzatorio era stata acquisita la nota della Soprintendenza ai BB.CC.AA. (Servizio per i beni paesaggistici, naturali, naturalistici e urbanistici) del 18 giugno 2008, n. 2293, mai revocata né scaduta per quanto si è osservato supra (recante autorizzazione del progetto, per quanto di competenza in tale ambito); né, peraltro, allo stato emerge dagli atti impugnati alcuna effettiva rivalutazione comparativa – comunque non riconducibile alle competenze dell’Arta, semmai a quelle dell’Assessorato regionale per i beni culturali e ambientali e pubblica istruzione – che possa far pensare a una riconsiderazione in materia (ove mai essa fosse legittimamente possibile).
Venendo quindi a trattare dei rischi per la salute umana è proprio rispetto alla relativa valutazione che l’Amministrazione in prima istanza mostra di aver declinato in modo erroneo e, soprattutto, in maniera superficiale il pur indefettibile principio di precauzione.
Come è noto, il principio di precauzione, che è uno dei capisaldi della politica ambientale dell’Unione europea (e al quale si ispira anche la disciplina della tutela dell’esposizione ai campi elettromagnetici), è attualmente menzionato, ma non definito, nell’art. 191, paragrafo 2, del TFUE (ex art. 174 TrCE), insieme a quelli del “chi inquina paga” e dell’azione preventiva. Tale principio è stato concepito per offrire una risposta al problema della gestione dei rischi per la salute delle persone e per l’ambiente quando neppure la più seria istruttoria scientifica sia in grado di fornire delle certezze riguardo ai pericoli, agli oneri e agli effetti collaterali connessi ad una determinata attività. La finalità del principio è dunque quella di assicurare, in modo trasversale, la tutela di beni e di interessi primari, e tra questi certamente rientrano la tutela della salute umana e dell’ambiente, quando essi siano minacciati non solamente da pericoli concreti, ma anche da rischi difficilmente ponderabili. Un regime di tutela ispirato al principio di precauzione richiede, dunque, inevitabilmente l’acquisizione preventiva di una conoscenza accurata dei rischi connessi all’esercizio di determinate attività; conseguentemente, la ragionevolezza delle decisioni giuridiche dipende dall’attendibilità dei riscontri scientifici su cui esse si basano. Tale principio, come accennato, non è espressamente definito dal TFUE, e siffatta omessa definizione non è affatto causale, giacché detto principio, più di altri, si presta ad essere declinato in modi differenti, in quanto la sua applicazione nei casi concreti è sempre condizionata, per un verso, dal livello di protezione che si intende garantire (l’individuazione di siffatto livello è, soprattutto, oggetto di una scelta di carattere politico) e, per altro verso, dal tipo e dalla misura degli approfondimenti scientifici disponibili. Il principio non può dunque esser inteso nel senso che debba essere proibito qualunque intervento che, in astratto, possa presentare un rischio per l’interesse di volta in volta tutelato (in questi termini è stata, invece, l’applicazione fattane, nello specifico, dall’Arta). In tutta evidenza una lettura di questo genere porterebbe alla totale interdizione di qualunque attività umana della quale si possa temere, fondatamente o no, la potenziale pericolosità. Fortunatamente questa esegesi “paralizzante” e, in essenza, misoneista non si impone come l’unica interpretazione possibile (e nemmeno come la più convincente) del principio in parola. Quest’ultimo, a ben vedere, indica piuttosto un criterio metodologico per organizzare il procedimento decisionale negli ambiti caratterizzati da incertezza scientifica, senza per questo impedire qualunque forma di bilanciamento tra i costi e i benefici legati ad ogni singola scelta. Un’autorevole spiegazione del modus operandi del principio di precauzione è stata offerta dalla Comunicazione della Commissione europea COM(2000)1, adottata il 2 febbraio 2000, secondo cui il principio (all’epoca sancito dal citato art. 174 TrCE) deve trovare applicazione “in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi siano ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità” (pag. 3). Senza ripetere integralmente il contenuto di detta Comunicazione (alla quale è sufficiente in questa sede rinviare), basta qui segnalare che:
– in ordine ai fattori che attivano il ricorso al principio di precauzione, la Comunicazione (§. 5.1.), afferma a chiare lettere (a pag. 16) che detto ricorso presuppone l’identificazione di effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento e una valutazione scientifica del rischio che, per l’insufficienza dei dati o per il loro carattere non concludente o per la loro imprecisione, non consenta di determinare con sufficiente certezza il rischio in questione;
– in relazione ai principi generali di applicazione della precauzione (§. 6.3. della Comunicazione), si enunciano i criteri della proporzionalità delle misure, la non discriminazione delle medesime, la loro coerenza, l’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dalla mancanza di azione e l’esame della evoluzione scientifica.
Seguendo questa impostazione, al quale il Collegio ritiene di dover aderire, il principio non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile.
Il principio di precauzione richiede, piuttosto e in primo luogo, una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi.
Se, conseguentemente, è corretto svolgere tale valutazione alla stregua di parametri precauzionali anche particolarmente rigorosi (ossia facendo riferimento, nel dubbio, al c.d. criterio del “caso peggiore”), occorre però che ciò si risolva nella formulazione di un giudizio che, pur se nella sua umana provvisorietà e quand’anche destinato a non determinare con sufficiente certezza l’entità di un rischio, abbia nondimeno un’attendibilità scientificamente significativa.
Con il risultato che, in applicazione di detto principio, sia vietato ciò che, sulla scorta di tale valutazione, risulti potenzialmente pericoloso, in misura non compatibile con i prestabiliti livelli di tutela e non altrimenti riducibile, e sia invece consentito il resto, sia pure con l’eventuale adozione di misure di riduzione del rischio.
Di un tale processo applicativo del principio di precauzione non vi è però traccia negli atti menzionati, i quali si limitano a menzionare l’art. 6, par. 3, della direttiva 92/43/CEE. Si tratta però di un’evocazione non risolutiva, laddove non corroborata dalle valutazioni a supporto del processo decisionale, analiticamente spiegate dalla Commissione europea nella sunnominata Comunicazione. Può perciò affermarsi che gli atti regionali di ritiro sarebbero stati verosimilmente legittimi, ove adottati sulla base di uno studio – purché adeguatamente autorevole e imparziale – che fosse però giunto a conclusioni di merito opposte a quelle degli accertamenti tecnici prodromici a suo tempo posti a base delle autorizzazioni poi “revocate”. Viceversa, detti atti sono illegittimi perché adottati in totale assenza di tale adeguato supporto istruttorio preventivo, supporto che sarebbe stato necessario e imprescindibile, proprio perché gli atti che si andavano a ritirare – contrariamente a quanto riportato nell’impugnata delibera di Giunta regionale n. 61/2013 – erano dotati, come si è già ricordato, di un proprio significativo supporto istruttorio, del quale il Ministero della difesa ha dato ampio conto.
In conclusione, l’Arta non avrebbe potuto procedere a un legittimo esercizio di autotutela nei confronti degli atti autorizzatori già rilasciati, se non muovendo da una preventiva confutazione (con metodo scientifico, nei sensi predetti) dell’attendibilità degli esiti degli accertamenti istruttori che erano stati compiuti prima dell’adozione degli atti poi revocati e sui quali questi ultimi si basavano. Sarebbe cioè occorsa, quantomeno, una dimostrazione di presumibile scarsa attendibilità di tali originari risultati istruttori.
Non spetta ovviamente a questo Consiglio verificare se gli atti di ritiro, qui esaminati, siano stati emanati sotto la spinta di suggestioni popolari, o per altre valutazioni politiche; resta infatti comunque illegittima ogni determinazione amministrativa assunta nel difetto dei relativi presupposti tecnico-giuridici, pur se tesa a soddisfare un diffuso sentimento della popolazione. In questo caso, oltretutto, il contenzioso tra diverse amministrazioni, ha impropriamente traslato sulla giurisdizione compiti che sarebbero propri, invece, dell’amministrazione attiva (sul punto si tornerà infra).
30. – Alla luce di tali rilievi va dunque scrutinata la fondatezza dei motivi di appello, formulati sul tema, dal Ministero della difesa.
Irrilevante è la circostanza, allegata dall’appellante, secondo cui le due autorizzazioni del 2011 e, segnatamente, la n. 36783/11 (riguardante la valutazione dei profili ambientali) e la n. 43182/11 (relativa alla valutazione del rischio per la salute della popolazione di Niscemi) non fossero state impugnate dalla Legambiente e dal No Muos né dagli altri co-ricorrenti: il Ministero della difesa all’evidenza oblitera, infatti, che dette autorizzazioni furono impugnate dal Comune di Niscemi.
Per le ragioni sopra spiegate è invece fondato il motivo con il quale il Dicastero appellante ha dedotto l’illegittimità degli atti, stante il difetto della carenza istruttoria posto che gli atti di autorizzazione erano stati emessi sulla base di una ricca serie di atti e di accertamenti.
In aggiunta va osservato che effettivamente sussisteva l’incompetenza della Regione siciliana a occuparsi dei profili afferenti al traffico aereo dell’aeroporto di Comiso e alla tutela della salute e, in ogni caso, gli studi effettuati in seguito dall’Enav non erano affatto di segno contrario all’installazione, avendo l’Enav osservato (v. a pag. 25 dello studio aeronautico allegato alla nota dell’Enav del 27 giugno 2013 e pure la nota dell’Enav, integrativa del predetto studio, del 14 ottobre 2014) che:
– la probabilità che un aeromobile venisse a trovarsi lungo il fascio del Muos era molto bassa e comunque limitata a una frazione di secondo;
– in ogni caso sarebbero state possibili modifiche delle aerovie interessate onde escludere anche tale minima interazione.
31. – Ancora, il T.a.r ha erroneamente ritenuto non rilevante l’evocazione, da parte del Ministero della difesa, dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997. Difatti detta disposizione, come l’art. 6, comma 4, della Direttiva 21 maggio 1992, n. 92/42/CEE, consente, anche in caso di negativa valutazione di incidenza, la realizzazione del progetto per motivi connessi alla salute e alla sicurezza pubblica o, previo parere della Commissione europea, per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Deve, pertanto, dedursi che, nell’ipotesi in esame in cui (almeno in sede di conferenza dei servizi), non vi era stata alcuna negativa valutazione di incidenza, a fortiori non vi fosse spazio per un annullamento d’ufficio.
32. – A questo punto il Collegio osserva che, una volta rimossi in via giurisdizionale sia la revoca delle revoche sia gli annullamenti d’ufficio (poi ritirati), l’esame della controversia inevitabilmente regredisce allo scrutinio dei motivi dedotti dal Comune di Niscemi con il ricorso n.r.g. 1864/2011. In altre parole, per effetto delle superiori statuizioni e in accoglimento dell’appello incidentale interposto dal Comune di Niscemi (e anche dalla Legambiente), la sentenza gravata merita riforma nella parte in cui essa reca la declaratoria dell’improcedibilità dell’originaria impugnativa.
33. – Le censure di primo grado riproposte in appello dal Comune di Niscemi sono le seguenti:
I.) eccesso di potere per travisamento, illogicità, carenza istruttoria, contraddittorietà; violazione degli artt. 3 e 5 del D.P.C.M. 8 luglio 2003; violazione dell’art. 2 della L. n. 157/1992; violazione della direttiva CEE 79/409, della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979 e della Convenzione di Washington del 3 marzo 1973; illegittimità derivata:
a) le autorizzazioni regionali poggiavano su rilevazioni effettuate dall’Arpa nel periodo tra il 9 marzo 2009 e il 9 giugno 2009 con centraline poste sulle case di abitazione più vicine alla stazione radio; da tali rilevazioni emergeva che le emissioni originate dagli impianti esistenti nella stazione radio di Niscemi fossero già prossime alla soglia di attenzione e, in alcuni casi, superiori ai limiti prescritti dall’art. 3 del D.P.C.M. 8 luglio 2003, commi 1 e 2, tabelle I e II; mentre nessuna valutazione, sebbene imposta dall’art. 5 del ridetto decreto, sarebbe stata effettuata in relazione alle emissioni generate dall’impianto Muos e alla loro eventuale incidenza in cumulo con gli impianti di radio trasmissione già esistenti; l’inattendibilità di tali rilievi renderebbe evidente il vizio di carente istruttoria e di illogicità dei provvedimenti;
b) l’assessorato regionale, nel provvedimento di autorizzazione del 28 giugno 2011, ha richiamato espressamente le note dell’Arpa del 18 febbraio 2009 e del 27 maggio 2009, la prima antecedente all’inizio delle misurazioni e la seconda antecedente la conclusione del periodo di rilevazione, nonché “il parere sul rischio della popolazione di Niscemi redatto nel febbraio 2011 dal Dip. di Ingegneria elettrica elettronica e delle telecomunicazioni Facoltà di Ingegneria UNIPA”, che non è mai stato comunicato al Comune di Niscemi e che, laddove fosse fondato sulle misurazioni effettuate dall’Arpa, sarebbe anch’esso inattendibile; nel caso si fondasse, invece, sullo studio di incidenza ambientale redatto dal tecnico incaricato dalla Marina statunitense (peraltro risalente all’aprile 2008 e, dunque, ad un periodo finanche antecedente alle misurazioni effettuate dall’Arpa), detto parere risulterebbe censurabile sotto molteplici profili alla luce dei rilevi formulati nello studio del prof. Massimo Coraddu dell’Istituto nazionale Fisica Nucleare di Cagliari;
c) i provvedimenti di autorizzazione regionale impugnati richiamano, inoltre, il parere favorevole espresso dal CRPPN in data 11 maggio 2011 e il parere positivo espresso dall’Azienda foreste demaniali, che non sono mai stati comunicati al Comune di Niscemi e che comunque erano da reputarsi illegittimi ed erronei perché fondati su dati insufficienti ed in contrasto con la normativa vigente in materia di protezione dell’avifauna e degli uccelli selvatici (direttiva CEE 79/409, Convenzione di Berna, Convenzione di Washington; Direttiva “Habitat” 92/42/CEE; L. n. 157/1992); in particolare, mancherebbe ogni riferimento agli effetti dei nuovi impianti del Muos sull’avifauna presente nella riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi (SIC ITA 05007), nonostante la presenza di specie protette;
II.) violazione dell’art. 5, commi 3, 5 e 10 e dell’allegato G del D.P.R. n. 357/1997; eccesso di potere per travisamento, illogicità, carenza istruttoria, contraddittorietà; violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, come recepito dalla L.R. n. 10/1991; illegittimità derivata sotto altro profilo: l’assessorato regionale non avrebbe verificato la conformità del progetto presentato dai proponenti con gli indirizzi prescritti dall’allegato G al D.P.R. n. 357/1997, con particolare riferimento all’inquinamento elettromagnetico e ai rischi di incidente derivanti dalle tecnologie utilizzate; mancherebbe altresì la valutazione in merito al rischio sismico e agli effetti di un eventuale sisma sulle antenne MUOS (crollo, modifica del puntamento delle parabole, ecc.); inoltre l’intervento in progetto ricadrebbe in area SIC caratterizzata da habitat “prioritario” e su tale intervento il Comune di Niscemi aveva espresso la propria valutazione negativa di incidenza; in tali ipotesi, il comma 10 dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 stabilisce che l’intervento può essere realizzato solo per esigenze connesse alla salute dell’uomo e per ragioni di sicurezza pubblica o ad esigenze di primaria importanza per l’ambiente, ovvero, previo parere della Commissione europea, per altri motivi di interesse pubblico; l’assessorato regionale avrebbe espresso la valutazione di incidenza in aperta violazione di tale norma, in quanto non sarebbero sussistite le specifiche esigenze, tassativamente indicate dalla norma e che eccezionalmente consentono l’esecuzione di costruzioni all’interno delle aree SIC; né l’assessorato regionale avrebbe richiesto il parere preventivo della Commissione europea, prescritto dalla norma citata in caso di “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” comunque non esplicitati dall’Assessorato regionale;
III.) incompetenza; violazione dell’art. 1 della L.R. n. 13/2007 e dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997: la normativa regionale vigente prevede che le determinazioni sulle valutazioni di incidenza di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 spettino ai comuni nei cui territori insistano i siti SIC e ZPS; sennonché, nella fattispecie, la valutazione di incidenza è stata resa dall’assessorato regionale, nonostante la predetta disposizione consenta all’assessorato di intervenire in via sostitutiva solo in caso di inerzia del Comune e non nel caso in cui l’ente locale si sia già espresso in senso negativo (come è avvenuto nel caso in esame, posto che il Comune di Niscemi si era espresso negativamente sull’approvazione del progetto, annullando in autotutela il precedente nulla osta favorevole);
IV.) violazione art. 15 della L.R. n. 10/1991, come sostituito dall’art. 4 della L.R. 5 aprile 2011, n. 5; violazione art. 19-quater della L. n. 241/1990; incompetenza sotto altro profilo; violazione del giusto procedimento: l’art. 15 della L.R. n. 10/1991 regola in Sicilia l’istituto della conferenza di servizi e il comma 2, come sostituito dall’art. 4 della L.R. n. 5/2011, prevede che in caso di dissenso tra un’amministrazione regionale e un ente locale o tra enti locali, l’amministrazione procedente “… entro dieci giorni rimett(a) la decisione alla giunta regionale”, cui compete la decisione finale nei modi e termini stabiliti dal successivo comma 3; l’assessorato regionale, pur in presenza dell’esplicito dissenso manifestato dal Comune di Niscemi in merito alla valutazione di incidenza ambientale, avrebbe omesso di inviare gli atti del procedimento alla Giunta regionale.
Non è stato invece riproposto dal Comune il motivo, originariamente proposto avanti al T.a.r., rubricato come “II. Violazione dell’art. 176 del Trattato CEE e del “principio di precauzione” – Violazione della Direttiva Habitat 92/43/CEE, sotto altro profilo” (in base al quale, in sintesi, qualora non sia possibile stabilire con certezza l’esistenza o la portata di un rischio, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive), sebbene – ad onor del vero – siffatto motivo aleggi sull’intero contenzioso.
34. – Va altresì tenuto presente che è transitata in appello la questione di legittimità costituzionale, sollevata in primo grado dalla Legambiente (la quale sul punto ha anche riproposto uno specifico motivo di appello incidentale), in ordine alla pretesa violazione degli artt. 80 e 87 Cost., in quanto la stipulazione degli accordi bilaterali, conclusi tra il Ministero della difesa (Stato Maggiore della difesa) e il Dipartimento della difesa degli U.S.A. – atti internazionali presupposti all’installazione del Muos -, non avrebbe ottenuto la preventiva autorizzazione né la ratifica del Parlamento italiano né, infine, detti accordi sarebbero stati promulgati dal Presidente della Repubblica. Sotto altro profilo detti atti sarebbero in contrasto con la Costituzione perché assunti in asserita violazione dell’art. 11 Cost. (sul principio del ripudio della guerra da parte della Repubblica Italiana).
35. – Tale questione, che merita a questo punto prioritario esame, è stata negativamente scrutinata dal T.a.r., avendo il Tribunale ritenuto che essa esorbitasse dagli interessi di tipo ambientalistico per i quali la Legambiente era legittimata ad agire e che, comunque, la riferita questione non fosse immediatamente rilevante per il vaglio di legittimità degli atti amministrativi oggetto di gravame né “non manifestamente infondata” alla luce di quanto segnalato dall’Ufficio legislativo del Ministero della difesa nella nota depositata il 27 giugno 2013, in ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 1264/13 (nel ricorso n. 808/13 R.G.; sopra citata), nota al cui contenuto il Tribunale ha rinviato.
In sintesi gli argomenti spiegati al riguardo dalla Legambiente sono i seguenti:
– la base di Niscemi è disciplinata dall’Accordo sottoscritto il 6 aprile 2006 (Technical Arrangement between the Ministry of Defence of the Italian Republic and the Department of Defense of the United States of America regarding the installations/infracstruture in use by the U.S forces in Sigonella, Italy) il cui Allegato 1 prevede che il predetto sito debba essere classificato come “US funded-US exclusive use”, ossia finanziato e utilizzato esclusivamente dalle Forze Armate statunitensi;
– inoltre il funzionamento del Muos sarebbe essenziale per le finalità strategiche della difesa degli U.S.A.;
– l’Accordo in parola, dunque, non sarebbe un mero accordo tecnico né un accordo di natura meramente economica, in quanto teleologicamente collegato alla politica e alle strategie belliche degli U.S.A.;
– dai superiori rilievi la Legambiente ha tratto la conclusione che, per l’efficacia di tale Accordo nell’ordinamento italiano, sarebbe stato necessario seguire la procedura prevista dagli artt. 80 e 87 Cost. e, in ogni caso, il contenuto dell’Accordo in parola cozzasse con il richiamato art. 11 Cost. (posto che l’impianto Muos potrebbe essere utilizzato dagli Stati Uniti per condurre attività belliche alle quali la Repubblica Italiana non potrebbe prender parte in alcun modo).
Opina il Collegio che le tesi patrocinate da Legambiente siano prive del requisito della non manifesta infondatezza. Ed invero, l’art. 87 Cost. prevede, tra l’altro, che il Presidente della Repubblica debba ratificare i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere; l’autorizzazione legislativa delle Camere alla ratifica, a norma dell’art. 80 Cost., è prescritta solo per i trattati internazionali che abbiano natura politica, o prevedano arbitrati o regolamenti giudiziari, o importino variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.
Orbene, è evidente che l’Accordo del 6 aprile 2006, almeno con riferimento all’oggetto specifico della presente controversia, non contempli – ove autonomamente considerato (ossia in ragione degli effetti giuridici da esso direttamente prodotti sul piano internazionale, in disparte cioè gli eventuali obblighi scaturenti a carico delle Parti in forza di altri, precedenti e più ampi trattati, come quello N.A.T.O.) arbitrati o regolamenti giudiziari né importi variazioni del territorio od oneri alle finanze né modificazioni di leggi. Sicché la valutazione della questione di legittimità costituzionale va scrutinata, con riferimento alla verifica della sua eventuale non manifesta infondatezza, con esclusivo riferimento alla qualificabilità, o no, dell’Accordo in discorso come trattato di natura politica. Orbene, sebbene sia difficile stabilire, per come riconosciuto dalla più autorevole dottrina costituzionalistica, quando si sia in presenza di un trattato politico, stante la natura elastica, e per questo motivo sfuggente, della “politicità” e la sussistenza, al riguardo, di un ampio margine di discrezionalità del Governo (latamente inteso), nondimeno deve ritenersi che la clausola di chiusura dell’art. 80 Cost. venga in rilievo solo quando il trattato presenti, laddove autonomamente considerato, un importante rilievo. Nella categoria dei trattati di natura politica rientrano, pertanto, sicuramente quelli di alleanza, di adesione a organizzazioni internazionali, di pace, o che comportino la partecipazione dello Stato a operazioni militari in territori stranieri; non sono, invece, di natura politica gli accordi internazionali che abbiano un mero contenuto tecnico-amministrativo, per i quali dunque non occorre alcun intervento delle Camere, potendo i medesimi accordi esser conclusi in forma semplificata.
Alla stregua delle considerazioni testé svolte, il Collegio ritiene che emerga, con assoluta evidenza, che l’Accordo del 6 aprile 2006 rivesta una natura squisitamente tecnico-amministrativa, essendo esclusivamente diretto, come precisato dalla stessa Legambiente, a disciplinare il finanziamento e l’uso della base di Niscemi. Nemmeno può ritenersi che, consentendo la costruzione dell’impianto Muos, la Repubblica Italiana si sia obbligata, sul piano internazionale, a partecipare a operazioni militari in territori stranieri, atteso che una tale conseguenza nemmeno potrebbe tarsi dall’eventuale dimostrazione (che, peraltro, nella fattispecie non è stata offerta) della asserita idoneità dell’impianto in parola a coordinare gli apparati militari statunitensi dislocati in altre parti del globo e per guidarne a distanza sistemi d’arma. Un ipotetico uso del Muos nei modi e per i fini appena descritti, infatti, quand’anche fosse comprovato, potrebbe al più rilevare sul piano delle relazioni internazionali tra gli U.S.A. e la Repubblica Italiana, ma dal punto di vista giuridico non avrebbe il significato di un atto di adempimento di un obbligo internazionale – vincolante per l’Italia – a partecipare, a fianco degli Stati Uniti, ad operazioni militari in territori stranieri (semmai un obbligo del genere può derivare da trattati aventi altro oggetto e spessore, come, ad esempio, quello N.A.T.O.).
In conclusione, la questione di legittimità costituzionale non può essere sollevata per difetto dei presupposti.
36. – Passando ad esaminare i motivi del ricorso originario, riproposti in appello dal Comune di Niscemi, va innanzitutto osservato che dette censure sono di due tipi. Segnatamente, le censure sub §.33.III.), sub §.33.IV.) e, nella seconda parte, sub §.33.II), sono di natura esclusivamente giuridica; al contrario le doglianze sub §.33.I) e, nella prima parte, sub §.33.II.) postulano, per la loro soluzione, un prodromico accertamento di fatti.
37. – Ad avviso del Collegio le richiamate censure sub §.33.III.), sub §.33.IV.) e, nella seconda parte, sub §.33.II), sono infondate e possono essere trattate, e respinte, congiuntamente sulla base delle seguenti considerazioni. Invero, il contrario avviso del Comune di Niscemi non fu espresso in sede di conferenza di servizi (atteso che, in tale ambito, il Comune di Niscemi fece piuttosto pervenire il nulla-osta, rilasciato in pari data, sulla valutazione di incidenza ai sensi del D.A. n. 245/2007), ma successivamente, attraverso l’annullamento in autotutela del precedente nulla-osta favorevole; peraltro, tale annullamento – diversamente da quanto sostenuto dal Comune – non presentava il contenuto obiettivo di una negativa valutazione di incidenza, ma, per l’appunto, consisteva soltanto nel ritiro del precedente assenso. Orbene, tali rilievi conducono a ritenere che non possa trovare applicazione alla fattispecie, l’art. 15, comma 2, della L.R. n. 10/1991, dal momento che tale disposizione disciplina unicamente il dissenso espresso nell’ambito della conferenza dei servizi. Del resto, anche nel testo vigente alla data del 9 settembre 2008 (giorno in cui si tenne la seduta conclusiva della conferenza dei servizi) la relativa disciplina (v. altresì l’art. 14-ter della L. n. 241/1990) non prevedeva il postumo e autonomo dissenso di una sola amministrazione che avesse già positivamente partecipato alla conferenza. In tal senso, del resto, si sono espressi sia il Consiglio di Stato (sez. V, 27 agosto 2014, n. 4374, secondo cui le amministrazioni che hanno adottato atti endoprocedimentali in seno alla conferenza di servizi non possono operare in autotutela per far venire meno l’assenso espresso, in quanto la conferenza di servizi rappresenta un modulo procedimentale che conduce all’adozione di un provvedimento che assorbe gli atti riconducibili alle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza o che, regolarmente invitate, avrebbero dovuto prendervi parte. Spetta, quindi, all’amministrazione procedente valutare se indire una nuova conferenza di servizi avente ad oggetto il riesame dell’atto adottato secondo le modalità già seguite in occasione dell’adozione del provvedimento di primo grado) sia questo Consiglio (sez. giurisd., 14 maggio 2014, n. 282). Ciò non significa, ovviamente, che in casi eccezionali non sia possibile accertare e dichiarare, con un provvedimento amministrativo, la nullità dell’assenso espresso (ad esempio, nel caso di scuola della mancanza della volontà di un’amministrazione); inoltre è anche sostenibile che l’ordinamento consenta un riesame delle determinazioni assunte in conferenza dei servizi, ma a un risultato del genere – in base al noto principio del contrarius actus – è possibile pervenire soltanto in esito alla riedizione del medesimo potere e del relativo procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento da riesaminare. Né rileva, ai fini del decidere, che l’atto di autotutela adottato dal Comune di Niscemi non sia stato impugnato, posto che la fattispecie configura una tipica ipotesi di difetto assoluto di attribuzione e non u mero vizio di incompetenza (posto che l’art. 122 della L.R. n. 6/2001 chiaramente assegna all’Arta, e non ai Comuni, il potere di indire la conferenza dei servizi, sicché il Comune ha operato in carenza di potere in astratto, avendo assunto di esercitare un potere che in realtà nessuna norma, nel caso specifico, gli attribuiva), tale da legittimare il rilievo d’ufficio in ogni tempo, da parte del giudice amministrativo, della relativa nullità e della conseguente inefficacia, a norma del combinato disposto degli artt. 31, comma 4, c.p.c. e 21-septies della L. n. 241/1990. Per le medesime ragioni va anche ripudiata la tesi secondo cui l’assessorato avrebbe espresso una valutazione di incidenza in aperta violazione dell’art. 5, comma 10, del D.P.R. n. 357/1997, in quanto a) non sarebbero sussistite le specifiche esigenze, tassativamente indicate dalla norma che eccezionalmente consentirebbero l’esecuzione di costruzioni all’interno delle aree SIC e b) l’assessorato regionale non avrebbe richiesto, come sarebbe stato asseritamente suo obbligo, il parere preventivo della Commissione europea, prescritto dalla norma citata in caso di “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” (comunque non esplicitati dall’assessorato). Si ribadisce, al riguardo, che il Comune di Niscemi espresse in conferenza dei servizi il proprio parere favorevole e solo oltre un anno dopo, in autonomia, annullò in autotutela il nulla-osta del 9 settembre 2008. Non ricorre dunque un’ipotesi sussumibile nella previsione del richiamato comma 10.
In ogni caso, anche a voler ritenere, come mera ipotesi argomentativa, che, a seguito del riesame in autotutela del nulla-osta, fosse necessario acquisire una nuova valutazione di incidenza, non può essere obliterato il dato che fu lo stesso Comune di Niscemi con la nota del 25 maggio 2011, prot. n. 10824, a chiedere, in sostanza, l’intervento sostitutivo dell’assessorato a norma dell’art. 1, comma 3, della L.R. n. 13/2007, invocando quest’ultima disposizione e trasmettendo la documentazione per i provvedimenti di competenza. Assume allora i contorni di una condotta contraria alla buona fede, e dunque non tutelabile, il contestare contra factum proprium l’avvenuto rilascio della valutazione di incidenza in via sostitutiva laddove tale adempimento risulti esser stato sollecitato dallo stesso Ente sostituito.
38. – Una volta respinti i motivi, testé esaminati, del primitivo ricorso del Comune di Niscemi, riproposti con l’appello incidentale, occorre ora scrutinare le residue doglianze, con le quali l’Ente civico ha essenzialmente stigmatizzato il difetto di istruttoria che vizierebbe gli atti di autorizzazione rilasciati dalla Regione siciliana. Tale profilo del contenzioso – che costituisce indubbiamente il punto critico e centrale dell’intera controversia – suscita considerazioni di carattere generale e altre riflessioni di ordine specificatamente processuale.
39. – Con riferimento alle considerazioni di carattere generale, il Collegio osserva che la vicenda, ora sottoposta al vaglio di questo Collegio, offre un eloquente spaccato delle difficoltà in cui spesso si imbatte l’azione amministrativa a causa della frammentazione e della eccessiva moltiplicazione dei centri decisionali, nonché delle incertezze degli apparati burocratici qualora chiamati a governare – in modo da farli affiorare e da renderli tra loro conciliabili – gli interessi superindividuali nei settori sensibili.
In estrema sintesi, anche alla luce di quanto finora argomentato, si evince che la fondamentale questione sottostante l’intero controversia transitata in secondo grado investe l’esigenza di rendere tra loro compatibili l’interesse militare e internazionale della Repubblica Italiana a installare e a far funzionare il Muos e i contrapposti interessi, di pari rango costituzionale, delle collettività, insediate nei territori prossimi a detta installazione (di cui sono enti esponenziali i comuni di riferimento, ma anche le associazioni ambientaliste), a scongiurare, nei limiti del principio di precauzione, ogni rischio di pregiudizio per la salute e per la qualità delle matrici ambientali.
In tali evenienze (talvolta spregiativamente denominate con l’acronimo “N.I.M.B.Y.”) la scienza dell’amministrazione suggerirebbe di ricercare le soluzioni in grado di permettere la contemporanea soddisfazione (ove possibile) delle contrapposte, rilevanti, esigenze attraverso la consultazione dei portatori di interessi su possibili opzioni alternative (scenari questi ultimi da costruire previo ricorso a competenze non giuridiche, specialmente di carattere scientifico); tuttavia spesso accade (come avvenuto in questo caso) che, a causa dei fattori di criticità sopra richiamati, l’azione amministrativa finisca per avvolgersi in una impasse – talora anche in conseguenza di “ripensamenti” in autotutela – che può essere superata solo grazie all’intervento della giurisdizione (prevalentemente, di quella amministrativa e, soprattutto, di quella penale) o della legislazione.
La “supplenza” giudiziaria, tenuta comunque ad estrinsecarsi stante il divieto del non liquet, manifesta peraltro, a sua volta, gravi limiti sia perché a) gli apparati giudiziari (e quelli amministrativi più di quelli penali) non dispongono di appropriati strumenti conoscitivi, non potendosi ritenere che una consulenza tecnica o una verificazione, per quanto accurate, possano raggiungere il medesimo approfondimento tecnico che hanno, o dovrebbero avere, le indagini delle tecnostrutture istituzionalmente preposte ad accertamenti complessi, sia perché b) i contenziosi giurisdizionali si concludono con “risposte” definitive, ma inevitabilmente non immediate, e, in ogni caso, postume rispetto al prodursi della lesione dei valori coinvolti sia perché, soprattutto, c) l’azione della magistratura, pur potendo avere rilevanti ricadute sociali ed economiche, conserva sempre un esclusivo contenuto giuridico e, quindi, anche nel rispetto del massimo rigore del metodo, difficilmente la “verifica” giudiziaria riesce ad attingere il livello degli standarddi precisione e accuratezza pretesi dalla scientificità, non foss’altro perché – oltre alle limitate possibilità degli strumenti di indagine sopra ricordati – i giudici devono comunque tener conto dei vincoli processuali e della logica del “giudizio di parte” (almeno nel caso del processo amministrativo), di guisa che la “verità giudiziaria” può non coincidere con la “verità scientifica” e, anzi, le due verità possono talora risultare separate da un incolmabile iato. Inoltre, non può essere obliterata la circostanza che la lite amministrativa, pur involgendo ordinariamente interessi superindividuali, è comunque rimessa all’impulso e alle domande delle parti e, al pari di tutte le contese giudiziarie, può anche risolversi in un gioco a somma zero e, non infrequentemente, anche a somma negativa (ossia alcune delle parti in conflitto, se non tutte, possono rimanere insoddisfatte). Diversamente un’azione amministrativa attiva, democratica, efficace ed efficiente dovrebbe sempre consistere in un gioco a somma positiva; dovrebbe cioè comportare, almeno tendenzialmente, un miglioramento paretiano per tutti i soggetti coinvolti nel conflitto, miglioramento da raggiungere – previa la completa acquisizione delle informazioni rilevanti – mediante la conciliazione tra contrapposti interessi, come sopra si è accennato, e anche, se del caso, attraverso il ricorso a istituti di tipo (sovra)compensativo degli eventuali pregiudizi subiti da una parte degli attori coinvolti nella scelta pubblica. Solo laddove vi sia stata una piena esplicazione dell’amministrazione attiva, può difatti dimostrarsi veramente utile l’estrinsecazione dell’“amministrazione correttiva” della giurisdizione; il ribaltamento di tale rapporto conduce invece, sempre, a soluzioni subottimali.
40. – Tenendo conto degli immanenti e insuperabili limiti gnoseologici della cognizione giudiziaria, la cui problematicità è stata ora esposta in termini generali, si possono esaminare le specifiche questioni devolute in seconde cure, per effetto della riproposizione in appello degli altri motivi, non ancora scrutinati, formulati in primo grado dal Comune di Niscemi. A tal riguardo, il Collegio ritiene che meritino approfondimento istruttorio le censure spiegate dall’Ente civico appellante in via incidentale. Alla luce della verificazione disposta dal T.a.r., gli atti regionali di autorizzazione non si sottraggono, infatti, ai dubbi palesati dal Comune in primo grado, con particolare riguardo al rischio, per la salute umana delle popolazioni insediate nei territori finitimi all’impianto Muos, dovute soprattutto al cumulo delle emissioni provenienti dalle varie fonti esistenti in loco.
Nondimeno, sul punto gli accertamenti tecnici e le verificazioni disposti in primo grado, non offrono, ad avviso del Collegio, una risposta conclusiva e convincente, proprio alla stregua del principio di precauzione (come sopra ricostruito) e delle opposte valutazioni diffusamente espresse dalle parti in lite.
Questa incertezza fattuale può e deve essere risolta unicamente con la ripetizione di una verificazione che, sulla base di quanto emerso nel corso del complesso contenzioso e dei criteri ricavabili dalla presente sentenza, esamini gli specifici profili di rischio affiorati.
La rilevanza degli interessi coinvolti sopra menzionati (si allude a quelli internazionali e militari, nonché a quelli afferenti alla protezione di un ambiente tutelato a livello europeo e della salute della popolazione, ecc.) impone, però, a questo Consiglio – anche in considerazione dell’elevato numero dei residenti potenzialmente esposti al rischio del quale si controverte (si tratta dei cittadini di molti comuni siciliani) – il dovere di assegnare la verificazione, non solo alle più alte rappresentanze scientifiche del Paese, ma anche alle massime autorità amministrative che, nell’ambito dell’ordinamento generale della Repubblica Italiana, siano in grado di esprimere una valutazione conclusiva, sulla base della miglior scienza del momento.
Ritiene, in sostanza, il Collegio che l’accertamento sulla eventuale pericolosità del Muos debba essere affidato, collegialmente, a due scienziati di chiara fama e a tre Ministri aventi investiture istituzionali nelle materie lambite dalla controversia.
I due componenti di estrazione scientifica, aventi competenze nel settore delle emissioni elettromagnetiche, dovranno essere rispettivamente indicati (entro 20 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se antecedente, dalla notificazione della presente sentenza), uno dal Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.) e l’altro dal Presidente del Consiglio universitario nazionale (C.U.N.).
I Ministri incaricati della verificazione sono invece individuati nel Ministro pro tempore della salute, nel Ministro pro tempore dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili attinenti alla navigazione aerea (in ragione dei pericoli per la sicurezza pubblica e, quindi, anche per la salute delle popolazioni, ipoteticamente riconducibili al pericolo di incidenti aerei), nel Ministro pro tempore delle infrastrutture e dei trasporti.
Si ritiene, poi, doveroso riconoscere ai ridetti Ministri verificatori la facoltà di delegare gli accertamenti di competenza a personalità, nominativamente indicate, provviste della necessaria preparazione tecnica (non necessariamente appartenenti ai ruoli dei rispettivi Dicasteri); ciascun Ministro, in particolare, potrà delegare lo svolgimento dell’incarico a un esperto appositamente nominato.
I cinque componenti, così individuati si costituiranno in collegio di verificazione (il cui presidente sarà il componente indicato dal C.U.N.) entro 30 giorni decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa o, se antecedente, dalla notificazione della presente sentenza.
Alle operazioni di verificazione potrà altresì partecipare, ove nominato, un tecnico di parte per ciascuna parte in lite, compresi gli intervenienti.
La verificazione dovrà svolgersi in contraddittorio e avrà ad oggetto i seguenti quesiti, formulati sulla base di quelli in primo grado declinati dal T.a.r.: “Accerti il collegio dei verificatori,
1) quale sia l’effettiva consistenza e quali siano gli effetti, anche sulla salute umana, delle emissioni elettromagnetiche generate dall’impianto Muos, quando funzionante, considerato sia isolatamente sia in cumulo con gli impianti di radiotrasmissione già esistenti e ricadenti all’interno del territorio siciliano potenzialmente suscettibile di essere investito dalle emissioni prodotte dal suddetto impianto;
2) se tali emissioni siano conformi, o no, alla normativa (sovranazionale, nazionale e regionale) in materia di tutela dalle esposizioni elettromagnetiche, di tutela ambientale delle aree SIC e di prevenzione antisismica;
3) se le emissioni elettromagnetiche dell’impianto Muos possano mettere in pericolo, tenendo conto anche della possibilità di un errore di puntamento delle antenne, la sicurezza del traffico aereo civile.”.
Ai verificatori è attribuita la facoltà di prendere visione e di estrarre copia di tutti i documenti e di tutti gli atti contenuti nel fascicolo emarginato.
I verificatori dovranno preventivamente comunicare ai tecnici nominati dalle parti la data, il luogo e l’ora dell’inizio delle operazioni di verificazione e delle successive sedute.
Della relazione di verificazione dovrà essere disposta una prima versione da sottoporre alla valutazione dei tecnici nominati dalle parti e la versione definitiva, da depositare presso la segreteria di questo Consiglio, dovrà tener conto delle osservazioni eventualmente formulate da detti tecnici.
La relazione definitiva di verificazione dovrà essere votata da tutti i componenti del collegio (potendo essi esprimere un voto ciascuno) e sarà approvata con il voto favorevole di almeno tre componenti; i componenti eventualmente dissenzienti saranno onerati della redazione di una propria relazione, nella quale siano compiutamente e chiaramente esplicitate le ragioni del dissenso rispetto alla opinione espressa dalla maggioranza.
Delle operazioni di verificazione dovrà esser steso un verbale, da allegare alla relazione definitiva.
Per il compimento delle operazioni e, quindi, per il deposito della relazione definitiva in segreteria, è fissato il termine di 60 giorni decorrente dalla scadenza termine di 30 giorni dalla notificazione o, se antecedente, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Il termine di 60 giorni, in applicazione analogica della regola dettata dall’art. 392, comma 2, c.p.p., è da reputarsi congruo rispetto al principio della ragionevole durata del giudizio.
Tutte le spese della verificazione (vitto, alloggio, viaggi, copie, esami strumentali, ecc.) saranno anticipate dal Comune di Niscemi a prima richiesta dei verificatori (ciò perché la verificazione viene disposta in relazione a un motivo dell’appello incidentale interposto dall’Ente civico).
Sul compenso finale spettante ai verificatori provvederà il Consiglio, con separato provvedimento, una volta depositata la relazione.
Il Consiglio applicherà la regola di giudizio ricavabile dall’art. 116 c.p.c., tra l’altro, nei casi in cui l’incarico di verificazione:
– non si concluda nei termini stabiliti, fatte salve le eventuali proroghe ove occorrenti e tempestivamente richieste;
– non possa svolgersi per mancata anticipazione delle spese della verificazione;
– non si basi anche sui risultati degli accertamenti, effettuati in loco, delle emissioni effettivamente prodotte dall’impianto Muos in un arco temporale rilevante ai fini valutativi (compatibilmente con la durata massima stabilita per l’effettuazione della verificazione).
In ossequio a principio di sinteticità, la relazione di verificazione – al netto dei verbali e delle intestazioni – dovrà essere stesa per iscritto, su supporto cartaceo e informatico, e dovrà avere una lunghezza non superiore a 50 pagine, redatte in formato word, con carattere di corpo 12, per un massimo di 30 righe per ciascuna pagina.
Gli allegati – eventualmente menzionati nella relazione – dovranno essere depositati in segreteria unicamente su supporto durevole di tipo informatico, in esemplari sufficienti per il Collegio giudicante e per le parti.
Considerato inoltre che, dalla lettura della nota del 10 aprile 2015 a firma del Capo dell’Ufficio di cooperazione per la difesa (ODC) presso l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia, si apprende che l’impianto Muos è già funzionale, seppur non operativo, e che i lavori di costruzione si sono conclusi il 26 gennaio 2014, il Ministero della difesa – tenuto conto dello “spirito di collaborazione reciproca e ai sensi degli accordi internazionali” (così recita la predetta nota) che legano il Dicastero appellante e l’omologa amministrazione statunitense – dovrà assicurare che i verificatori siano posti nelle condizioni migliori per poter compiere gli accertamenti disposti da questo Consiglio e a tal fine il Ministero della difesa curerà tutti gli aspetti relativi ai buoni rapporti istituzionali tra le due amministrazioni militari.
41. – Per l’effetto, la trattazione della causa è rinviata all’udienza pubblica del 16 dicembre 2015, ore di rito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
non definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello principale e in parte gli appelli incidentali nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, dispone gli incombenti istruttori indicati in parte motiva.
Impregiudicata ogni ulteriore decisione sul merito e sulle spese del giudizio, rinvia per l’effetto la trattazione della causa all’udienza pubblica del 16 dicembre 2015, ore di rito.
Dispone che la segreteria comunichi la presente sentenza anche ai Ministri indicati nel §. 40 della suestesa motivazione e ai Presidenti del C.U.N. e del C.N.R.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Gabriele Carlotti, Consigliere, Estensore
Vincenzo Neri, Consigliere
Giuseppe Mineo, Consigliere
Giuseppe Barone, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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