Domenica 17 gennaio alle 10 di fronte alla base di Sigonella presidio NoWar
Il 2 agosto 1990 l’Iraq invade il Kuwait, che accusa di condurre una guerra economica perché invadendo il mercato con il suo petrolio ha contribuito ad affossarne il prezzo, con enormi perdite per gli iracheni appena usciti dalla disastrosa guerra con l’Iran. Nei mesi che seguono, gli USA mettono i bastoni fra le ruote a qualunque soluzione possibile diplomatica e preparano la legittimazione dell’Onu alla loro guerra aerea, la «Tempesta nel deserto» che distruggerà l’Iraq, a partire dalla notte del 16 gennaio 1991, con la partecipazione di diversi paesi arabi e occidentali fra i quali l’Italia. Lo Yemen è l’unico paese arabo nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e, prendendo sul serio il compito di rappresentare l’insieme della regione, rifiuta di partecipare al voto sull’immediata risoluzione 660 che chiede il ritiro dell’Iraq dal Kuwait. Alle risoluzioni sull’Iraq, l’Unione sovietica, in totale declino, prossima alla dissoluzione, fortemente dipendente dagli aiuti occidentali, non oppone mai il veto a cui ha diritto in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza. Anche la Cina asseconda, non opponendosi a Washington sia per avere un ruolo diplomatico più influente, sia per ottenere un alleggerimento delle sanzioni di cui è gravata dopo i fatti di piazza Tienanmen (1989).
La risoluzione clou che porta alla guerra, il cosiddetto ultimatum all’Iraq, è la 687 del 29 novembre 1990, che autorizza i paesi membri a cooperare con il Kuwait usando tutti i mezzi necessari, quindi la forza. Gli Stati uniti e le petromonarchie preparano per bene il terreno utilizzando il bastone e la carota per acquisire il consenso dei membri non permanenti. L’Unione sovietica, agli sgoccioli, e pronta a tutto pur di avvicinarsi all’Occidente, ottiene 4 miliardi dai sauditi. Cuba e Yemen sono i due membri di turno del Consiglio di sicurezza che fin dall’inizio della crisi puntano i piedi. Contro Cuba e Yemen, gli Usa e i sauditi usano il bastone. Alla vigilia della risoluzione cruciale, la pressione sui due disobbedienti si intensifica. Niente da fare: Cuba e Yemen votano no alla 687. La notte del 16 gennaio 1991 Usa e alleati iniziano a bombardare, malgrado la risposta positiva dell’Iraq agli ultimi tentativi negoziali, da parte del segretario generale dell’Onu, dell’Iran (appoggiato da Mosca), e di India , Germania e Nicaragua (Daniel Ortega fu l’ultimo capo di Stato a recarsi a Baghdad per scongiurare la guerra). Mentre le città irachene vengono distrutte dalle bombe poco intelligenti, e i soldati che si stanno ritirando dal Kuwait vengono sepolti vivi nel deserto dai marines, Mosca appoggia l’accettazione da parte irachena della risoluzione 660: il ritiro dal Kuwait. Ma Usa e Gran Bretagna chiedono di più e subito; e continuano a bombardare.
Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo. Questa guerra, preparata e provocata da Washington con la politica del «divide et impera», veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica.
Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo. La coalizione internazionale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini di un generale Usa. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni.
Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un “cessate-il-fuoco temporaneo” proclamato dal presidente Bush.
La guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Ufficiali statunitensi confermavano che migliaia di soldati iracheni erano stati sepolti vivi nelle trincee con carri armati trasformati in bulldozer. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini. Subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991). La Nato, pur non partecipando ufficialmente in quanto tale alla guerra del Golfo, metteva a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario».
Allora in Sicilia (dove per anni si era lottato contro gli euromissili a Comiso) sorse un combattivo movimento contro la guerra, che denunciava il crescente ruolo della base di Sigonella e l’inizio dell’installazione delle 46 antenne NRTF nella Sughereta di Niscemi. In questi 25 anni il mondo è cambiato in peggio; le successive guerre, sempre sotto comando Usa con la complicità di UE,Nato ed Onu, si sono moltiplicate: contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato; fino alla nuova guerra fredda in Ucraina, oramai in mano a forze neonaziste.
Oramai le nuove destre sono all’offensiva ed al governo di paesi europei e strumentalizzano la questione immigrazione per preparare nuove pulizie etniche e guerre di religione, fino alla nuova guerra fredda in Ucraina. I profughi ed i migranti sono le più grandi vittime delle peggiori ingiustizie planetarie e solo lottando insieme si possono impedire ennesime guerre fra poveri.
In questi anni in Sicilia si è duramente combattuto contro la crescente militarizzazione dei propri territori, soprattutto contro l’installazione delle micidiali 3 parabole del sistema Muos ed attualmente le parabole sono sotto sequestro;ma la Console Usa “perde la pazienza” e rappresentanti del governo italiano fanno pressioni sul CGA per accelerare il dissequestro del Muos a Niscemi per “combattere il terrorismo dell’ISIS”, incuranti che proprio una base di guerra degli Usa, come il Muos, potrebbe diventare obiettivo di ritorsioni terroriste, mettendo così a rischio l’incolumità della popolazione siciliana. Al peggio non c’è fine: il 2016 sarà l’anno di completamento nella base di Sigonella del programma Nato AGS (Alliance Ground Serveillance, Intelligence, Sorveglianza e Ricognizione), diventando così capitale mondiale dei micidiali droni (aerei senza pilota), che quotidianamente seminano morte e distruzioni nelle aree di conflitto. Inoltre Catania è stata scelta come sede centrale dell’agenzia FRONTEX per creare una nuova polizia europea di frontiera contro i migranti.
A 25 anni dalla prima guerra del Golfo del ’91 dobbiamo ricostruire ovunque un forte movimento contro la guerra ed il popolo siciliano deve prendere in mano il proprio destino: La Sicilia è stata trasformata in un avamposto di guerra e nella frontiera Sud della fortezza Europa (piena di galere etniche: Cie, Cara, Hotspot).
Sta alla sua popolazione, a partire dalle nuove generazioni, trasformarla in Ponte di Pace , di Cooperazione e di Accoglienza per tutti i popoli del Mediterraneo e costruire dal basso e con le lotte un futuro libero dalle guerre e dal razzismo.
La Sicilia non è zona di guerra Via le basi Usa-Nato dalla nostra terra
Nel Mediterraneo mai più naufragi L’Europa fortezza è causa delle stragi
La Sicilia sarà più bella senza il Muos e senza Sigonella!
Domenica 17 gennaio alle 10 di fronte alla base di Sigonella presidio NoWar
Per adesioni: comunica@nomuos.info
Prime adesioni:
Cobas Scuola (Catania) – La Città Felice (Catania) – Rete Antirazzista Catanese – Circolo PRC Olga Benario Catania – Red Militant Roma – Partito Comunista, Com. Regionale della Sicilia – Azione Civile Catania – Circolo Precari PRC Catania
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