Condividiamo alcune riflessioni da cui intendiamo partire sabato 5 agosto, alle 10.00, all’assemblea “Militarizzazione dei territori e tendenza alla guerra” durante il prossimo campeggio nomuos.
Nel 2022 gli Stati dell’Europa occidentale e centrale hanno speso per l’apparato militare 345 miliardi di dollari (fonte SIPRI), di cui 18 direttamente investiti nella guerra in Ucraina. Se si pensa con quanta enfasi è stato presentano il New Generation UE (qui da noi PNRR), con i suoi 750 miliardi di euro da spendere in 4 anni, definito come sforzo unico e grandioso dell’UE per risollevare le sorti delle aree più depresse, si può comprendere quanto truffaldina e menzognera sia questa enfasi. Il PNRR per ogni anno prevede di impiegare circa 187 miliardi, quasi la metà di quanto gli stessi stati annualmente sprecano per il militarismo, la guerra, il sistema militare (spacciandone una nuova versione “green”). A questo bisogna aggiungere la decisione del Parlamento Europeo, a maggio di quest’anno, di destinare i fondi per la coesione sociale per un piano speciale per la produzione di armamenti e munizioni da inviare in Ucraina (ASAP -“Act in support of ammunition production“). Decisione questa che, dal punto di vista simbolico e sostanziale, ci conferma che siamo in guerra: da un lato L’UE è passata dal sostenere la vendita di armi e munizioni UE all’Ucraina, a sostenere direttamente la produzione, quindi la filiera industriale bellica, delle stesse armi e munizioni, andando ad ingrassare le tasche dei padroni che speculano e guadagnano su morte e distruzione; dall’altro, la possibilità di utilizzare i fondi per la coesione sociale (gli stessi fondi che potrebbero essere utili per ricostruire il territorio dell’Emilia-Romagna devastata dall’alluvione di maggio 2023) per armare l’Europa è esemplificativo di come la guerra riduca diritti e amplifichi diseguaglianze. Queste decisioni sembrano essere ancora più sconcertanti se le caliamo nel contesto italiano, dove il debito pubblico ha raggiunto 2.750 miliardi, dove i salari sono diminuiti del 12% negli ultimi 15 anni, dove ci sono milioni e milioni di poveri nel paese. La spesa militare appare come uno schiaffo alla grande maggioranza della popolazione che stenta ad arrivare a fine mese, ed è anche costretta a subire gli effetti dell’inflazione scaturita dalla guerra in corso sul proprio stipendio, che prende la forma di un vero e proprio furto di guerra. E mentre si taglia alle spese di sostegno delle fasce più deboli e alla soglia della povertà, come il reddito di cittadinanza, l’aumento delle spese militari fino a raggiungere il 2% del PIL (circa 38 miliardi di euro l’anno) è un ulteriore schiaffo alle classi popolari.
Rispetto all’Ucraina, siamo consapevoli che la fine del conflitto non la decideranno coloro che lo hanno provocato; siamo anche coscienti che le belle parole e gli appelli alla pace lasciano il tempo che trovano se non si accompagnano a un impegno attivo per fermare la guerra e l’attuale clima di escalation militare. Per tali ragioni noi, che viviamo sotto l’occupazione militare NATO-Americana, riteniamo di poter e dover dare il nostro fattivo contributo contro questa guerra lottando contro le strutture militari ubicate nel nostro territorio e parti integranti del conflitto stesso. Guardiamo con preoccupazione gli esiti dell’ultimo vertice NATO, che finisce per rafforzare la stessa NATO e la sua espansione ad est, occasione che non solo fa da stampella ai piani imperialisti USA, ma che sta dando modo ad Erdogan di rafforzare il potere della Turchia nello scacchiere internazionale che, tra un ricatto e l’altro, vede ancora più legittimate le sue politiche genocidarie nei confronti del popolo curdo, e rafforzare il suo esercito (già il secondo più forte della NATO dopo quello USA). Crediamo che vadano ricercate le opportune relazioni internazionaliste per dare forza alle battaglie sparse per l’Europa e per il Mondo, così come va espressa solidarietà attiva e concreta alle migliaia di disertori e renitenti alla leva che in Ucraina come in Russia si sottraggono alle politiche belliciste dei rispettivi governi.
In questo contesto vanno lette le sempre più diffuse interferenze e i condizionamenti che gli apparati militari attuano capillarmente nella nostra società, volte a mistificarne e celarne ruoli e obiettivi; presenze quotidiane negli spazi dell’informazione e dell’intrattenimento, dell’istruzione e della formazione per diffondere una cultura di “ordine e disciplina”, di accettazione passiva (se non di entusiastica adesione) ai valori macisti del militarismo, della violenza in divisa, della sopraffazione dei deboli, della guerra al “nemico” esterno” e al “nemico” interno (gli oppositori e tutti coloro che deviano dai canoni professati dalla cultura borghese, consumistica, liberista, maschilista-bianca-etero, ecc.). Interferenze che influiscono notevolmente su istruzione e ricerca, con investimenti in progetti dal doppio fine, civile e militare, al servizio dell’industria bellica e di Stati e regimi dittatoriali o simili (vedi Turchia e Israele).
Indagare, conoscere e far conoscere questi progetti, mobilitare contro di essi le forze studentesche e giovanili, per noi è importante quanto continuare a contrastare la presenza militare sui nostri territori.
Per noi non c’è una realtà di lotta che possa vantare una sua centralità rispetto alle altre; ogni situazione, dalla lotta NO MUOS a Coltano, dai movimenti in Sardegna a quelli del Nord Est, ai tanti comitati che cercano di ostacolare insediamenti, poligoni, ampliamenti di strutture militari, ecc. ha la propria specificità e ogni movimento ha la propria forza. Se guardiamo specificamente alla Sicilia, nell’arco dell’ultimo anno registriamo come il clima di guerra e di escalation militare che si respira in Europa si sia tradotto in nuovi progetti di insediamenti militari e il rafforzamento di strutture già esistenti: pensiamo all’allargamento della base di Sigonella, ai lavori di sistemazione della base NRTF di Niscemi, al progetto di hub militare nelle Madonie, al rafforzamento dei sistemi radar nelle isole minori, al progetto di allargamento e riattivazione del poligono di Punta Izzo che, dopo anni di incertezze, sembra essere ormai certo, alle esercitazioni militari di Punta Bianca che, nonostante la presenza di un parco naturale attiguo all’area militare, continuano imperterrite a devastare la costa sud dell’isola. Non possiamo però non allargare lo sguardo e ritenere parte (e prodotto) dello stesso processo di escalation militare l’enorme speculazione del TAV e il ponte sullo stretto richiesto a gran voce dall’UE e dalla NATO, con lo scopo di rafforzare la mobilità e i collegamenti delle basi militari del sud Italia, il progetto del nuovo gasdotto Melita che insiste su Gela, già devastata da anni di attività estrattiva di ENI, o ancora lo sfacelo in cui versa la sanità regionale, in un contesto in cui si preferisce investire nelle spese militari e non sul welfare e la sanità. Riteniamo che le proteste spontanee a seguito del progetto di costruzione del mega hub militare sulle Madonie ci dica tanto di come chi vive i territori si senta automaticamente minacciato e deprivato dall’insediamento di nuove infrastrutture di morte; pensiamo che la lotta ai poligoni militari che minacciano la bellezza e l’integrità ambientale delle nostre coste ci dica molto di come guerra, militarismo e devastazione ambientale siano estremamente intrecciate; infine crediamo che il potenziamento di alcune infrastrutture militari ci dicano come le isole minori non debbano essere lasciate indietro in questa lotta contro la militarizzazione e la devastazione ambientale.
Se ogni esperienza di lotta e opposizione ha la stessa importanza e dignità, ad essere centrale è la lotta contro la guerra. La guerra, come massima espressione della voracità distruttiva del sistema capitalista, che non guarda in faccia nessuno, né gli esseri umani né l’ambiente né ogni esseri vivente; come prodotto e occasione di ristrutturazione della cultura e del sistema di dominio patriarcale; come strumento per conquistare, consolidare, potere e quindi profitti; come fabbrica di diseguaglianze e ingiustizie, di catastrofi umanitarie e di esodi; come immensa voragine che inghiotte ingenti risorse economiche sottraendole ai bisogni primari della società, come istruzione e sanità. La guerra rappresenta l’elemento unificante di ogni movimento specifico antimilitarista, antimperialista, ambientalista, antirazzista, transfemminista, sindacalista. Crediamo essenziale, in questa fase di escalation militare, mettere in comune esperienze e volontà. Quindi, in continuità ai molti momenti di lotta e discussione che hanno attraversato e attraverseranno l’Italia e le isole in questa estate, ci rivolgiamo a tutte le realtà perché aumentino la collaborazione ed elaborino strategie comuni di resistenza e di attacco.
Per costruire un processo condiviso da tutte e tutti e che possa veramente darsi l’ambizione di fermare l’escalation bellica sui nostri territori, smantelli le basi e opporsi alle guerre convochiamo un’assemblea plenaria per giorno 5 mattina all’interno del Campeggio NoMuos in Contrada Ulmo a cui invitiamo realtà, gruppi, singoli che lottano contro la militarizzazione dei propri territori.
Nel momento in cui ci opponiamo alle basi militari, alle politiche di guerra, gettiamo le basi perché i popoli possano camminare verso la propria autodeterminazione e una società altra nasca dalle nostre lotte.
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