Al largo dell’isola di Lampedusa, abbiamo assistito, con la rabbia che scuote la carne, alla tragedia che colpisce donne e uomini in fuga. Un altro affondamento, un’altra storia di morte, altri cadaveri che dimorano nel Mar Mediterraneo. La consueta strage che colpisce gli ultimi, i reietti, esseri umani che le società urbane, fondate sul neocapitalismo predatorio, trasformano in scarti di produzione. Una nuova forma di imperialismo, negli ultimi vent’anni, si è dispiegata attraverso una più feroce pratica coloniale. Le merci hanno acquisito improvvisamente lo status di zona franca permanente, mentre gli uomini sono stati sempre di più soggetti a maggiori controlli e limitazioni negli spostamenti. Su questa base economica, l’Europa e l’Italia hanno costruito leggi repressive nei confronti dei migranti, in quanto considerati un mero problema di ordine pubblico. La legge Turco-Napolitano, che all’epoca istitutiva i lager dall’oscura sigla CPT e la legge Bossi-Fini, che sviluppava sull’impianto della prima un pacchetto normativo che inaspriva pene, periodi detenzione, introducendo il reato di clandestinità. In questi giorni post mortem, in virtù di qualche archetipo collettivo di compensazione o atavico senso di colpa, i paladini politici degli stati occidentali inaugurano l’ennesimo autodafé. Invocando un mea culpa generale, viene messa in scena una barbara e squallida rappresentazione per cuori fragili. Conferenze stampa, pubblici appelli, convocazioni di stati generali: la politica dei palazzi dà il meglio di sé per vendere la sua faccia pulita e meno simile a quella di un aguzzino. La popolazione di Lampedusa, gli attivisti presenti sull’isola, gli operatori umanitari, questa volta, hanno urlato la loro stanchezza. Hanno detto: Ya basta! Lampedusa non vuole essere più un carcere circondato dal mare: una sorta di nuova Isola del Diavolo, come fossimo all’epoca delle prigioni francesi nella Cayenna. Il presidente dell’Unione Europa Barroso e il presidente del consiglio italiano Enrico Letta sono stati fortemente contestati nella loro visita all’isola e appellati come assassini dagli abitanti e da tutti i soggetti, che da molti anni, affrontano con un’altra logica e reale spirito di solidarietà la questione migrante. Ancor di più stonano le parole del presidente della regione Sicilia Crocetta, che a gran voce, in qualità di primo delfino nazionale dell’antimafia, invoca l’abolizione della legge Bossi-Fini, come unica causa delle tragedie che riempiono le coste siciliane e hanno trasformato il Mediterraneo nella sede di un conflitto mai dichiarato, ma fortemente e tristemente presente, con i suoi morti, feriti e dispersi. Sicuramente l’abolizione di queste due leggi infami, che ricordano tanto le leggi sulla cittadinanza di nazista memoria, sono una priorità non più rinviabile. Non si può affrontare una questione come quella migrante soltanto attraverso una gestione repressiva e soprattutto con due strumenti normativi che mirano esclusivamente a considerare i migranti come delinquenti. È però quanto meno necessario ricondurre i flussi migratori alle cause scatenanti, a quei motivi che portano milioni di persone a fuggire dalle proprie terre in cerca di un riparo, in primo luogo, da guerre e povertà. È dunque obbligatorio chiedersi come sia logicamente consequenziale conciliare le scelte politiche di Rosario Crocetta sul MUOS, con le parole pronunciate a Lampedusa nei giorni scorsi? Come è possibile trovare un senso in quello che viene detto quando volontariamente, con la revoca della revoca, di fatto, si è autorizzato il completamento di un sistema di comunicazione che ha un unico scopo: essere utilizzato in qualche guerra nel Mediterraneo? Come è pensabile dichiararsi uomini di pace, cattolici praticanti e difensori dei valori civili di una nazione, quando con i propri atti si spiana la strada alla crescita esponenziale dei flussi migranti, allo sradicamento di intere popolazioni, a causa delle solite guerre che oramai i “civili” stati occidentali compiono, da bravi crociati del profitto, nell’area mediorientale e nelle terre africane? Noi diciamo che non è più accettabile essere complici silenziosi di questo stato di cose. Bisogna inchiodare la politica nelle sue contraddizioni, far emergere i reali interessi che stanno dietro le scelte che sono state prese. Denunciare la connivenza tra apparati politici, militari e economici che guadagneranno dall’impiego del MUOS. Lottare con tutti i mezzi per abbattere un Moloch che contribuirà a sconvolgere la vita di intere popolazioni, generando flotte di migranti alla disperata ricerca di un ricovero presso quelle stesse nazioni occidentali responsabili del loro destino di nomadi in perenne naufragio.
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