L’anniversario del 3 ottobre, quando 368 donne, uomini e bambini persero la vita nel naufragio di Lampedusa, trova un mondo dilaniato dal diffondersi di conflitti asimmetrici inediti e dall’acuirsi di quelli che da decenni segnano il pianeta. Da Guantanamo ai tagliagole in Iraq, passando per le decine di migliaia di morti in Ucraina, a Gaza e in Siria, per la nuova guerra civile in Libia e il perpetrarsi delle dittature sanguinarie del Corno d’Africa, la stessa cultura dell’odio e del calcolo economico, che mai dà priorità alla vita e ai desideri delle persone, si sta materializzando in un orizzonte di devastazione e guerra probabilmente senza precedenti per l’intensità e le modalità globali.
I paesi occidentali hanno contribuito e contribuiscono quotidianamente alla diffusione di questa cultura e al protrarsi di questi conflitti, dei quali le migrazioni e le morti in mare cui stiamo assistendo sono una diretta conseguenza.
Per anni abbiamo contestato la divisione tra profughi e migranti perché strumentalizzata da tutti i governi per creare categorie di persone dai diritti differenziati. Ma oggi la questione dell’asilo e della “libertà di costruzione e di realizzazione del proprio progetto di vita in caso di necessità di movimento”, come scritto nella Carta di Lampedusa, assume un ruolo fondamentale, diventa la sfida per eccellenza alle frontiere, alle sovranità, alle cittadinanze, agli stessi diritti umani.
Senza dimenticare la libertà di movimento e il diritto di restare di tutti/e i/le migranti per come definiti dalla Carta di Lampedusa, non si può non tenere presente la stretta connessione che esiste tra i conflitti in corso e le persone che in questi mesi hanno raggiunto l’Europa passando per il Mediterraneo. Più del 35% di loro sono siriani/e. Gli/le altri/e sono in larga parte eritrei/e, somale/i, palestinesi, curdi/e.
Il 3 Ottobre non può e non deve essere solo il giorno nella memoria. Una giornata in cui gli stessi poteri che giocano costantemente a ipotecare il futuro di tutti e di tutte fingono di inchinarsi di fronte al ricordo delle salme di quella tragedia. Una tragedia che ha precise responsabilità politiche, come tutte le altre che hanno riempito di corpi il Mediterraneo negli ultimi vent’anni.
I giorni della memoria si istituiscono in ricordo di un passato finito una volta per tutte. Ma il 3 Ottobre non ha mai avuto fine: il 3 Ottobre è anche l’11 Ottobre dello stesso anno, e poi, nel 2014, il 19 febbraio, il 12 maggio, il 30 giugno, il 19 luglio, il 2 e il 28 agosto, tutte date in cui si sono contati i morti in mare, fino agli 800 nelle acque libiche e maltesi nella sola seconda settimana di settembre.
Più i conflitti si inaspriscono e si diffondono, più le persone fuggono e muoiono.
Più le politiche migratorie europee impediscono ai migranti di attraversare le frontiere senza rischiare la vita, più si rendono complici della morte di queste decine di migliaia di vittime di guerra.
Le banalizzazioni e le semplificazioni dei discorsi istituzionali fanno rabbrividire in questo momento più che mai. Ancora di più, spaventa l’assunzione in buona fede di tante e tanti della logica del salvataggio in mare come l’unica possibile. Una logica che inevitabilmente alimenta la commistione ormai strutturale tra umanitario e militare e legittima il dibattito in corso tra l’Italia e l’Europa sul passaggio dall’operazione Mare Nostrum a una versione di Frontex imbellettata per l’occasione.
Non si può continuare a dare per presupposto che chi fugge debba rischiare la propria vita per raggiungere il Mediterraneo e dalle sue coste mettersi in viaggio sperando che qualcuno lo intercetti e lo salvi.
Pur consapevoli che è alle cause delle guerre che oggi bisogna guardare, e fino a che punto l’Unione europea sia complice di queste guerre e la prima responsabile delle morti in mare (altra forma o continuazione della guerra), le prime rivendicazioni che adesso si devono portare avanti sono per noi:
– L’abolizione immediata del sistema dei visti d’ingresso e l’istituzione di un diritto di asilo senza confini, che sopprima definitivamente la logica del Regolamento Dublino in tutte le sue versioni, permettendo la reale libertà di movimento di chi chiede protezione internazionale in Europa e garantendone il diritto di restare dove sceglie.
– La costruzione immediata di percorsi di arrivo garantito che portino le persone in salvo direttamente dalle zone dei conflitti o immediatamente limitrofe ad esse fino all’Europa, mettendo a tacere ogni ipotesi di esternalizzazione dell’asilo politico nei cosiddetti “paesi di transito” extra Ue, come la Libia, l’Egitto, o la Tunisia, oggi più che mai incapaci di offrire i minimi standard di tutela dei diritti dei migranti.
– La diffusione di un’accoglienza degna, che rispetti le vite e i desideri degli uomini e delle donne che arrivano in Europa e si sostituisca interamente alla logica dell’emergenza e della speculazione sull’emergenza.
– La lotta senza quartiere contro tutte le campagne politiche e mediatiche di criminalizzazione dei migranti che, a solo un anno dal naufragio del 3 ottobre, tornano più che mai irresponsabilmente e indegnamente a connotare come “clandestini” i profughi in fuga dai conflitti, e ad allarmare la popolazione con inventati pericoli di epidemie e infiltrazioni terroristiche attraverso le rotte dell’asilo, alimentando senza ritegno la cultura dell’odio, della paura, dello “scontro di civiltà” e dell’islamofobia a fini demagogici.
Le risorse economiche perché ciò avvenga sono da trovare innanzitutto nell’immediata chiusura in tutta Europa dei centri di detenzione amministrativa per migranti, obiettivo di lotta per tutti noi, nonché nella riconversione delle spese volte alla militarizzazione del Mediterraneo e degli altri confini europei.
Perché il 3 Ottobre non sia solo la giornata della memoria, perché in quel giorno siano delegittimate le ipocrisie istituzionali, invitiamo ogni movimento, associazione, singola/o a costruire sul proprio territorio e con le modalità che riterrà più opportune, nello spirito della Carta di Lampedusa, dei momenti di mobilitazione che assumano queste rivendicazioni come parole d’ordine.
Primi firmatari:
Rete Antirazzista catanese, Comitato nomuos nosigonella (Catania), Coordinamento Antirazzista palermitano, Melting Pot Europa, Rifondazione Comunista, CIPSI – Coordinamento Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale, Laboratorio 53 (Roma), Le Mafalde (Prato), Ambasciata dei dei Diritti (Ancona), Centri Sociali delle Marche, Ass. Ya Basta! Marche, booq (Palermo), Associazione Antimafie Rita Atria, Centro Sociale TPO Bologna, Associazione Città Migrante Reggio Emilia, Comitato l’Altra Europa con Tsipras di Perugia, Comitato Antirazzista Cobas (Palermo), Q Code Magazine, SOS Diritti (Venezia), Comitato Non laviamocene le mani (Rovereto/Trento), Associazione Garibaldi 101 (Napoli), Voglio Vivere Onlus, Spazio comune autogestito TNT (Jesi), Polisportiva antirazzista Akapawa (Jesi), Progetto Rebeldia (Pisa), Razzismo Stop (Padova), Associazione Italia-Nicaragua (Circolo di Viterbo), Casa de Nialtri (Ancona), Polisportiva antirazzista Assata Shakur (Ancona), Casa dei Beni Comuni (Treviso), La Città Felice (Catania), LILA (Catania), Cobas Scuola (Catania), Associazione Rumori Sinistri (Rimini), Casa Madiba Network (Rimini), Polisportiva AutSide (Rimini), Centro Sociale Bruno (Trento), Labas occupato (Bologna), Associazione Senzaconfine, Laici Comboniani (Palermo), Laboratorio aq16 (Reggio Emilia), Casa Bettola (Reggio Emilia), Liberalaparola (Marghera), Razzismo Stop (Venezia), Borderline Sicilia, Associazione Di.a.Ri.A (Palermo), Laboratorio Occupato Morion (Venezia), S.a.L.E. Docks (Venezia), Sinistra Anticapitalista, Centro Sociale Occupato Autogestito Zona Ventidue (San Vito Chietino)
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