Pochi giorni fa i Ministri Pinotti e Gentiloni, dopo le dichiarazioni del segretario generale della NATO Stoltenberg in un’intervista a La Stampa, hanno dovuto ammettere che nel summit della NATO tenutosi a luglio a Varsavia l’Italia si era impegnata ad inviare in Lettonia 140 soldati nell’ambito del definitivo dislocamento di quattro contingenti militari, da 4 a 5 mila uomini in totale, in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, in funzione antirussa.
Il 13 settembre, il governo Renzi, dopo l’invio di forze speciali, al fianco di quelle britanniche, presso Misurata, a difesa dei pozzi e delle infrastrutture petrolifere, ha deciso di mandare in Libia oltre 300 militari, di cui 200 paracadutisti della Folgore, supportati da una portaerei, uno stormo di cacciabombardieri, diversi droni e tre basi militari (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella). La missione, ipocritamente spacciata come missione “medico-umanitaria” dal nome evocativo di Ippocrate, si configura a tutti gli effetti come una nuova avventura militare italiana in quel paese che l’aggressione occidentale del 2011 ha ridotto ad un pantano dove tutti contro tutti continuano tragicamente a combattere e morire. Non a caso, nella recente visita negli Usa, Renzi si è impegnato, su sollecitazione del suo capobanda, a fornire un impegno più consistente di truppe in Libia per poter partecipare da protagonista alla spartizione delle spoglie di quel martoriato paese.
Proprio in queste ore, nell’attacco portato dalla coalizione internazionale per la presa di Mosul in Iraq, i soldati italiani sono in prima linea. Si tratta dei 130 incursori del 17° stormo dell’Aeronautica dislocati a Erbil – che si trova a 80 chilometri dal teatro di guerra – e dei 500 militari impegnati a presidiare la diga di Mosul e a difendere la sede e gli uomini della ditta Trevi alla quale è affidata la messa in sicurezza dell’impianto.
L’anno prossimo l’Italia sarà nazione guida nel Vjtf (Very High Readiness Joint Task Force), la Task Force di azione ultrarapida, la “punta di lancia” in grado di intervenire in cinque giorni in caso di emergenza lungo la frontiera orientale. Il comando sarà quello di Lago Patria il Jfc Naples.
Infine, il governo, come è stato annunciato dallo stesso Renzi nel summit della NATO, per il 2016 ha aumentato del 20% gli investimenti nel settore Difesa proprio mentre continua a tagliare tutte le spese sociali.
Queste sono solo alcune delle notizie, le ultime, che riguardano l’operato del nostro governo e che anche ai più sordi e ciechi dovrebbero mostrare chiaramente il carattere imperialistico di questa proiezione internazionale dell’Italia, che nulla ha di difensivo né, tanto meno, di “umanitario”. Ma, nonostante la caterva di morti e di sangue a cui contribuisce l’attivismo renziano in politica estera, non abbiamo ascoltato una parola e meno che mai visto un moto di genuina opposizione al militarismo crescente di casa nostra.
Eppure lo scenario internazionale mostra un pericoloso accentuarsi del confronto tra grandi potenze sempre più vicino alla possibilità di degenerare in un conflitto militare generalizzato che, nell’”era nucleare”, sarebbe ancora più nefasto di quelli precedenti. Le aree di attrito, concentrate soprattutto nel vicino oriente, riguardano in realtà l’intero panorama mondiale.
Lo schieramento occidentale con gli Usa in testa ed i vari alleati della Nato, più o meno disciplinati, spinge per un drastico ridimensionamento delle aspirazioni di Russia e Cina a raggiungere la posizione di potenze globali, proporzionale al loro crescente peso economico e militare.
Dall’“esplosione” della crisi ucraina le esercitazioni a ridosso dei confini russi sono più che raddoppiate. Decine di migliaia di uomini e centinaia di mezzi hanno partecipato alle manovre aereo-navali nel mar Nero, al largo delle coste sia di Romania e Bulgaria che della Georgia, nel mar Baltico, al largo della Norvegia e delle Repubbliche baltiche, rafforzando di fatto la presenza navale Nato. E ancora, esercitazioni terrestri in Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e nei Paesi baltici accompagnate da un crescente riarmo di questi Paesi, l’avvio del programma di dispiegamento della cosiddetta “Difesa antimissile” in Polonia fino al definitivo dispiegamento delle migliaia di uomini sopra ricordato.
Una provocatoria stretta militare sulla Russia che è tra le motivazioni del pericoloso schieramento militare da parte di Putin che ci avvicina, tragicamente, ad un punto di non ritorno
La vicenda siriana è ancora più emblematica: fallito il tentativo di una rapida eliminazione di Assad e la successiva spartizione della Siria, grazie proprio alla scesa in campo della Russia, quella che è partita come una guerra combattuta per procura si sta via via trasformando nell’arena dello scontro aperto tra gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati, e la Russia. Messa ormai da parte la finta collaborazione contro l’ISIS, la battaglia di Aleppo ed i massacri quotidiani della popolazione vengono usati come una clava per giustificare la necessità di un intervento diretto dell’Occidente. E così, mentre si evidenziano i crimini di Assad e i bombardamenti sui civili della Russia, che pure ci sono, mentre si indicano entrambi come gli unici responsabili del non rispetto delle tregue anche in presenza di prove evidenti contro i cosiddetti ribelli, si mette la sordina sui massacri compiuti da quegli stessi “ribelli” e dalle forze occidentali ed alleate. E se le bombe americane sull’esercito siriano e sui civili sono derubricate ad errori o a effetti collaterali, si tace totalmente sulle morti prodotte dalle sanzioni occidentali al popolo siriano, si tace sulla carneficina di curdi, della Siria e della Turchia, portata avanti dall’alleato Erdogan così come sul macello quotidiano che l’altro alleato, l’Arabia Saudita, sta portando avanti in Yemen con la collaborazione dell’aviazione statunitense e con le armi fornite dall’Italia.
Forse, come ammettono gli stessi “esperti” e commentatori occidentali, saranno i risultati delle elezioni negli USA a determinare tempi e modi; sta di fatto, però, che siamo davanti ad un crinale molto pericoloso.
Oggi a pagare questa feroce competizione scatenata dalle potenze occidentali, a pagare questa infame politica che sta seminando morte, fame e distruzione, sono i popoli di queste aree del pianeta; sono i milioni di profughi la cui unica colpa è fuggire da questi inferni, sono le migliaia di loro che muoiono nel deserto e nel Mediterraneo o finiscono imprigionati nei lager italiani ed europei o dei loro alleati. Tanto basterebbe per spingere ad una opposizione dura contro gli interventi militari in atto, ma ciò che stiamo rischiando è l’allargamento del conflitto a scala mondiale e non possiamo più rimanere in silenzio.
Non c’è lotta contro le politiche di austerity, contro il razzismo, contro il precariato o la “buona scuola”, che tenga se non ci battiamo, anche, o forse prima di tutto, contro le aggressioni ad altri popoli e contro il militarismo.
L’Italia è in prima fila in questa politica guerrafondaia e di aggressione, tanto attraverso la produzione e la vendita di micidiali armi di distruzione di massa (triplicata nell’ultimo anno), quanto attraverso la propria partecipazione alle missioni militari sempre più massicce e diffuse.
Con la scusa della lotta al terrorismo e dell’emergenza sicurezza determinata proprio dalla politica sino ad ora seguita, si procede anche qui, come negli altri Paesi occidentali, a passi da gigante verso una ulteriore militarizzazione dei territori, ed una asfissiante politica securitaria che in realtà serve come deterrente preventivo contro ogni manifestazione di opposizione contro il crescente sfruttamento ed il militarismo.
Il nemico, quindi, è in casa nostra.
Riteniamo che sia urgente una presa di parola ed una ripresa della mobilitazione contro questo clima di sciovinismo imperante e contro il militarismo crescente, per dissociarci ed opporci a questa politica di guerra dettata solo dalla logica di profitto che ci sta portando dritti verso un immane macello mondiale.
Invitiamo pertanto a far pervenire le adesioni per la costruzione di una mobilitazione da tenersi nel mese di dicembre in grado di ridare vigore ad un movimento contro la guerra ed il militarismo.
In direzione della costruzione di questa mobilitazione si terranno iniziative di denuncia e sensibilizzazione sul tema della guerra.
Rete campana contro la guerra e il militarismo
Napoli 23/10/16
Per contattarci: https://www.facebook.com/retecontroguerramilitarismo.na/
assemblea.na@gmail.com
http://www.centoannidiguerre.org/
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