Sala gremita, quella del Museo civico di Niscemi, il pomeriggio del 7 dicembre per il convegno a tema “Muos: violazioni ambientali e possibili azioni legali”.
Ad aprire i lavori il sindaco di Niscemi Massimiliano Conti che ha riferito gli ultimi aggiornamenti. Nonostante i richiami e le comunicazioni istituzionali, nonostante l’amministrazione attenda da prima del Governo Conte Uno che qualcuno si faccia vivo per istituire un tavolo tecnico, come richiesto ormai più di un anno fa, il sindaco ha confermato che nessuno presta ascolto, nessuno risponde. Non rispondono i ministri più volte interpellati, in particolare quelli del Movimento 5 Stelle che tanto impegno avevano assicurato in campagna elettorale. Il sindaco ha avuto anche l’occasione di ribadire la necessità di effettuare misurazioni adeguate. E a tal proposito ha aggiunto che l’Arpa Sicilia ha predisposto e inviato nei giorni scorsi i preventivi per le centraline di misurazione adeguate: ciò avviene a distanza di un decennio e a conclusione dei procedimenti per abusivismo e per violazione ambientale del MUOS, e soprattutto dimostra, visto che ce n’è ancora bisogno, che i dati utilizzati sia per le procedure di autorizzazione sia per i test e poi sventolati nei tribunali come prova di non nocività, non hanno validità alcuna.
Rimane ancora irrisolto l’inquinamento elettromagnetico della base militare e delle antenne esistenti e operanti che vanno ad aggiungersi al MUOS e quello relativo all’antenna principale, la più inquinante e pericolosa, dalla quale già in passato l’ingegnere Coraddu aveva messo in guardia amministrazione e popolazione, asserendo che nessun macchinario può effettivamente misurarne alcunché.
Eppure le motivazioni della sentenza di assoluzione del Muos (30 ottobre 2019) fanno riferimento alle conclusioni negative delle valutazioni di incidenza ambientale, e cioè affermano che l’inquinamento che non sussiste, che la pericolosità per gli esseri viventi è ampiamente al di sotto dei valori di soglia, che in ogni caso erano previste misure compensative da adottare ma che, giuso per ricordarlo, non sono mai state adottate. Ricordiamo inoltre che recentemente gli USA, a seguito della sentenza di assoluzione, hanno dichiarato per bocca dell’Ammiraglio Becker che le controversie con i residenti risultano “risolte”. Il caso è chiuso? Secondo noi il caso non è mai stato davvero aperto, o meglio, si è aperto durante il periodo di forte pressione popolare da parte dell’opinione pubblica ed è stato in tutti i modi e a forza, frettolosamente, chiuso. Anche a costo di calpestare i diritti umani, la Costituzione italiana, la tutela ambientale, anche a costo di fare carte false per arrivare al risultato: il saccheggio e lo stupro della Riserva in nome degli interessi di guerra e dell’economia capitalista, quella che ci sta conducendo al globale disastro ambientale.
Alfonso Albanelli, ingegnere esperto ambientale che lavora presso l’Assessorato all’ambiente della regione Emilia Romagna, ha illustrato diversi aspetti tecnici e legislativi relativi al rapporto tra la Sughereta e l’inquinamento elettromagnetico e luminoso, ha accennato ai livelli di rumore superiori al consentito, ha mostrato le immagini delle opere di costruzione che hanno modificato irrimediabilmente l’area e il territorio della riserva naturale. L’approccio antropocentrico della legislazione e della normativa con cui si è sollevato e definito il caso MUOS non rende giustizia della gravità sistemica di questa ingombrante presenza, soprattutto non essendo state studiate e monitorate le conseguenze a breve e a lungo termine sulle rotte migratorie, sul comportamento dell’avifauna e di tutti gli esseri viventi che abitano la riserva, compresa la flora.
Inoltre questa area, ormai quasi distrutta e ridotta al lumicino proprio dalla invasiva presenza militare è un’area SIC, cioè è un Sito di Interesse Comunitario e che quindi non può sottostare a nessun interesse particolare degli stati membri dell’Unione Europea, ragione per cui è necessario rivolgersi, come cittadini o associazioni di cittadini, direttamente alla Corte di giustizia europea, anche in considerazione del fatto che il patrimonio ambientale, paesaggistico e l’ecosistema che si sta distruggendo appartiene, come minimo, a tutti i cittadini europei. Gli unici casi in cui tale legislazione potrebbero essere scavalcati e i casi in cui le decisioni nazionali possono non sottostare alla regolamentazione europea sono i casi di rilevante interesse pubblico e direttamente riconducibili alla “sicurezza pubblica”. Un uso del termine che l’ingegnere Albanelli ha voluto differenziare dal suo essere inteso come “pubblica sicurezza”. Con il primo si intende la prioritaria messa in sicurezza degli abitanti dell’area SIC, con “pubblica sicurezza” sembra invece intendersi l’interpretazione prevalsa nel caso MUOS, declinata come sospensione e repressione del diritto alla sicurezza delle persone che abitano quel territorio, in nome di interessi politici e che poco hanno a che fare con il benessere dei cittadini.
Angelo Giunta, avvocato patrocinante in Cassazione e dinanzi le giurisdizioni superiori, ricollegandosi alla presentazione dell’ingegnere Albanelli, ha ripercorso le tappe del processo al Muos durato diversi anni e che ha visto giungere a conclusioni disarmanti. Infatti, come bene illustrato dalla sua relazione, l’accordo sull’installazione di un’opera militare totalmente finanziata dagli USA in territorio italiano è un accordo di natura politica che, in osservanza della carta costituzionale, dovrebbe prevedere l’autorizzazione di entrambe le Camere del Parlamento italiano, con relativa ratifica da parte del Presidente della Repubblica. Invece la procedura attuata per l’autorizzazione del MUOS è stata quella di ordinaria amministrazione pubblica, come si trattasse insomma di una grande opera di interesse pubblico, (aggiungiamo noi una grandissima opera utile solo alla guerra) e che in ragione di questo ha potuto scavalcare, tra gli altri, il vincolo di assoluta inedificabilità che vige nell’area della riserva. Il CGA stesso nella sentenza riconosce il totale finanziamento dell’opera da parte degli USA, confermando il loro diritto a uso esclusivo e fugando qualsiasi dubbio sulla possibilità che possa essere di riflesso utilizzabile dai paesi alleati della NATO. Per questo non può rientrare in nessun modo, nemmeno volendo, nell’elenco delle opere necessarie alla difesa del territorio italiano. Non esiste infatti traccia o evidenza di tale accordo politico. Trattandosi dunque di un caso che viola i diritti tutelati dalle leggi italiane, considerato il fatto che lo Stato italiano ospita, supporta e promuove la presenza di un’arma volta all’offesa in palese contrasto con l’art.11 della sua carta costituzionale, che gli USA sono stati autorizzati a poter agire al di sopra della legge da organi non preposti a tale tipo di operazione e che nemmeno gli strumenti a disposizione della magistratura riescono a fare piena luce sulla questione, spetta ai massimi rappresentanti della cittadinanza, al Sindaco e al Comune di Niscemi, sollevare la questione di legittimità alla Corte costituzionale.
Alla luce di queste considerazioni chiediamo che l’amministrazione comunale di Niscemi e le amministrazioni del comprensorio considerino carta straccia le relazioni e i dati forniti dagli USA come prova della “bontà” del loro operato, che leggano le motivazioni della sentenza e le studino, nel rispetto della magistratura, chiedendo gli opportuni chiarimenti e che ritornino a occuparsi con forza della questione, facendosi promotori di una nuova campagna legale che ridia dignità al popolo siciliano e, soprattutto, alle centinaia di attivisti trattati come pericoli pubblici, soggetti pericolosi, criminalizzati soltanto per aver difeso la giustizia, la Sughereta, gli abitanti del territorio.
Cosa possiamo fare noi abitanti dei nostri territori violati? Ce lo hanno mostrato gli attivisti della seconda parte dell’incontro.
Gianmarco Catalano, attivista di Punta Izzo Possibile, ha presentato un caso di successo. Punta Izzo, gioiello naturale della costa siracusana, ha visto il tentativo da parte del Ministero della Difesa, di ripristinare l’area a poligono militare. Attraverso la raccolta di materiale video e fotografico durata diversi anni, in cui si sono documentati, tra le altre cose, lavori di cementificazione a meno di 150 metri dalla costa, rifiuti, scarti edili e materiali di diverso genere non correttamente smaltiti in altri impianti ma murati in sito, gli attivisti sono riusciti a far avviare un’indagine per violazione ambientale. Prontamente nel Piano paesaggistico di Siracusa del marzo 2018, si era inserita una norma che escludeva le opere militari dall’osservanza dei vincoli ambientali e paesaggistici, ma il gip di Siracusa ha nello scorso mese accolto la richiesta di ulteriore indagine dichiarando: “il paesaggio è valore primario non sacrificabile in nome della sicurezza del Paese”.
Infine Giulia Di Martino attivista dell’associazione Asud ha presentato la campagna “Giudizio Universale – invertiamo il processo”, un’azione legale in costruzione che intende fare causa allo Stato italiano per non aver agito sul cambiamento climatico in atto e che lo stesso stato conosce e riconosce, e dunque per la sua negligenza nei confronti della salvaguardia e tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, bene comune. Una campagna di sensibilizzazione che sta raccogliendo da mesi in giro per l’Italia centinaia di associazioni, comitati e cittadini impegnati nei numerosissimi conflitti ambientali che costellano la penisola italiana. A questa campagna anche il Movimento No Muos aderisce.
Rimane per noi evidente che la battaglia alla militarizzazione, alla base in contrada Ulmo, al MUOS, è intrinseca e comprensiva di tutte le battaglie ambientali e sociali del nostro tempo. Che esse siano contro il cambiamento climatico e l’inquinamento, che abbiano come obiettivo la giustizia sociale o che vadano contro il sistema economico capitalista, che si combattano nei tribunali o nelle piazze, nei palazzi del potere o per le strade, per noi l’unica possibilità di sentenza è: Resistenza.
Movimento No Muos
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